• Abbonati

Musica

Cimeli

Lucio Battisti da riscoprire: Anima Latina ha 40 anni e sa ancora di novità

Brother Giober ha scovato un cimelio del 1974: un po' la svolta ermetica, ma soprattutto musicale di Lucio Battisti, contaminato da jazz, suoni latini e prog. Che ne dite di raccontarci il vostro Battisti preferito?

Giudizio:

* Camera iperbarica

** indispensabili massicce dosi di vitamine ed esercizio fisico

*** necessario solo qualche ritocco di chirurgia estetica

**** in perfetta forma

***** Cocoon!

 

ARTISTA : Lucio Battisti

TITOLO: Anima Latina

GIUDIZIO: ****1/2

Ho una certo imbarazzo a parlare di Lucio Battisti. Per molti anni nella mia vita non l’ho più ascoltato, benché nel passato l’abbia molto amato.

Non è una questione artistica. È il primo ottobre del 1972, il primo giorno di scuola, della seconda media, sezione M della scuola Carlo Cattaneo. Le facce sono quelle dei miei amici dell’anno precedente, nessuno è stato bocciato. L’aria è quella di un giorno di festa.

Un viso nuovo è quella che vedo fra i tanti. Ha la fisionomia di un extraterrestre: capelli lunghi, scarpe a punta (saprò poi che sono originarie dell’Inghilterra), jeans di tela sdruciti (orrore!) ma soprattutto tra le braccia un registratore a cassetta.

Incuriosito del tipo mi avvicino e mi presento e gli chiedo che musica sta ascoltando: mi risponde “King Crimson”.

A quel tempo le mie frequentazioni musicali erano minime: Canzonissima, il Festival di Sanremo e poco più. Ma agli occhi miei ero all’avanguardia perché ascoltavo Massimo Ranieri e tifavo per Adriano Celentano mentre mia madre era ancora ferma a Gianni Morandi.

Nonostante questa mia certezza non ricordavo di “un certo King Crimson”, trattandosi probabilmente di un esordiente bocciato nelle prime puntate di Canzonissima; in più i suoni che uscivano dal registratore mi sembravano proprio orrendi.

Ma il “nuovo arrivato” mi incuriosisce e così diventiamo amici e iniziamo a passare i primi pomeriggi insieme. La colonna sonora è prima quella dei Pink Floyd, dei Genesis, dei Gentle Giant, della PFM, del Banco, poi i Doors, Jimi Hendrix.

Un giorno becco il mio amico che sente Battisti e mi sembra strano, gli chiedo il perché e lui mi risponde che Battisti “è il massimo”.

E così, fiducioso del giudizio espresso dal mio “vate musicale”, inizio ad ascoltare anche Battisti e ad innamorarmene. Ad un certo punto il mio amico “se ne va”, troppo presto, e smetto di ascoltare Battisti, i suoi dischi vengono riposti nel cassetto più lontano della mia memoria, neppure li scarico con l’avvento di ITunes.

Sino a quando un altro amico, Massimo Numa, mi invita a un suo concerto con i “Due Mondi” (molto più di una cover band) e mi riavvicino, seppur con ancora un po’ di dolore.

Per cui sono legato a Battisti ma non lo amo, non più. Però…

Anima Latina esce nel 1974 dopo “Il mio Canto Libero” e “Il nostro caro Angelo“ e resta in classifica per 65 settimane. Ed è strano perché se chiedessi a qualcuno di dirmi una canzone presente nell’album, tranne che il tipo sia un fan sfegatato, difficilmente saprebbe rispondermi e se anche il titolo lo dicessi io, non sarebbe in grado di ricordarne il motivo.

Perché Anima Latina è zeppo di belle canzoni ma non di grandi canzoni intese come quelle più famose di Battisti, quelle che sono rimaste nella memoria popolare e, nonostante ciò, è forse il disco più importante di tutta la sua discografia.

Anima Latina nasce all’indomani di viaggi fatti prima a Londra, con Mogol, Lavezzi e Radius, e poi in Sudamerica, alla scoperta delle nuove tendenze musicali, alla ricerca di nuove idee, di nuovi suoni e rappresenta il momento di rottura con tutta la produzione precedente.

Fino allora Battisti era considerato ad un livello più alto della maggior parte dei canzonettari che frequentavano le gare canore (e infatti lui non c’era mai), ma a uno molto più basso della maggior parte dei cantautori “impegnati”. Gli veniva rimproverato dal pubblico “colto” il disimpegno nei testi e una certa commerciabilità dei suoni, accuse entrambe, evidentemente, demenziali.

Ma è già dalla scelta dei musicisti che entrano in sala di incisione che è possibile verificare le intenzioni di Lucio di svoltare: musicisti nella maggior parte dei casi vicini a sonorità più jazz e meno “leggere” come Ares Tavolazzi (Area), Karl Potter (Napoli Centrale e Edoardo Bennato se non ricordo male), Claudio Pascoli, Mario Lavezzi, Alberto Radius, Mara Cubeddu solo per citare i più noti a dimostrazione della volontà di ampliare lo spettro sonoro.

Il disco è probabilmente il più ambizioso di Lucio Battisti, quanto meno di quelli prodotti negli anni 70, e vive di contaminazioni latine e di forti influenze del prog inglese: le canzoni hanno quindi una durata superiore alla media e sono presenti partiture orchestrali complesse e stratificate, con un ampio uso dei sintetizzatori allora in gran voga, soprattutto in Inghilterra.

Le parti cantate hanno un ruolo minore e rappresentano spesso dei semplici intermezzi a quelle strumentali.

I testi riferiscono, nella maggior parte dei casi, alla contrapposizione e al dialogo tra i diversi sessi visti all’epoca dell’adolescenza (Abbracciala, abbracciali, abbracciati) o in età più avanzata (Due Mondi).

L’inizio del lavoro è affidato a Abbracciale, Abbracciali, Abbracciati, un brano che ha un inizio scandito dal battito ipnotico di una batteria a cui fanno da cornice alcune rarefazioni elettroniche, con un cantato particolarmente basso di volume tanto che la prima reazione naturale è quella di mettere mano alla manopola per alzare il livello. Ma l’effetto è voluto, per attirare l’attenzione sulle parole. Ad un certo punto il brano esplode, interviene l’orchestra e con essa i suoni pieni dei fiati, anche se è solo un attimo perché poi prende forma un ritmo sudamericano con le percussioni di Karl Potter che riescono a dare profondità al brano. Un capolavoro, tre canzoni in una e una più bella dell’altra.

È la volta quindi di Due Mondi, il 45 giri al tempo, uno dei pochissimi pezzi nei quali è possibile scorgere uno scampolo di melodia e che ricongiunge in parte il lavoro a quelli precedenti. Di rilevo è la presenza di una seconda voce protagonista, quelle di Mara Cubeddu (già con i Flora Fauna e Cemento e con Daniel Santacruz Ensemble) così come degni di nota sono le ambientazioni sudamericane e l’intervento della sezione fiati.

Gli uomini Celesti vive ancora di atmosfere sudamericane ricamate da una samba dove sintetizzatori e percussioni vagano inquiete e dove la voce di Battisti vive di effetti creati per stupire e richiamare l’attenzione dell’ascoltatore.

Con Anonimo Battisti rompe ogni ponte con il passato e lo fa a suo modo, ossia riprendendo alla fine del brano e , storpiandolo, il motivo de I Giardini di marzo, quasi a voler dire “Hey scordatevi tutto questo, sono un artista nuovo”.

Vi è spazio per una breve ripresa di Uomini Celesti e Due Mondi è quindi la volta di Anima Latina, probabilmente il capolavoro dell’intero album. L’inizio è solo strumentale: tastiere, chitarra e percussioni dialogano a ritmo serrato, quasi funky, fino a quando i battiti rallentano, il suono si riduce di volume e irrompe la voce di Battisti; il testo è surreale e i nonsense sono sottolineati dalle spigolature del canto, dal suo inerpicarsi contorto. Poi un nuovo intermezzo quasi esclusivamente strumentale, salvo la presenza di un coro, che diventa poi una danza giocosa e liberatoria.

Il Salame ha un inizio che ricorda la melodia di una ninna nanna; il testo anche in questo caso è abbastanza ermetico, potrebbe voler descrivere le prime esperienze erotiche di un ragazzo e di una ragazza. Quasi uno scherzo, una presa in giro. Musicalmente mi pare il brano meno nobile dell’intero album.

La Nuova America è uno dei brani più brevi del lavoro, sotto i tre minuti. L’inizio è affidato ad un’orchestrazione ricca sino a quando l’arpeggiare di una chitarra e il suono di un flauto, così come i frequenti stop and go, ci ricordano che siano in piena epoca prog.

Anche la Macchina del tempo ha un inizio tipico del progressive inglese, la voce è carica di effetti e non vi è traccia di alcuna melodia. Il brano diventa più facile al momento dell’irrompere delle percussioni, quando la voce diventa naturale, il ritmo si fa sincopato. Poi a metà della durata il ritmo sparisce, il suono risente delle influenze mediterranee. Siamo di nuovo di fronte ad un’altra canzone (ma nella stessa canzone), dove si possono percepire echi provenienti dal jazz-rock, grazie soprattutto all’uso del piano elettrico. Il finale è nuovamente affidato al suono delle percussioni che accennano a un ritmo tribale.

Chiude il lavoro Separazione Naturale, il brano più breve dell’intero lavoro, un bozzetto incompiuto. Effetti elettronici in sottofondo a far da cornice e a dare risalto a un testo che sa di rimpianto.

Un album difficile, ermetico, spiazzante, lontano anni luce da tutto ciò che può essere considerato commerciale. Eppure bellissimo, di grande fascino. Senz’altro da riscoprire.

Se non si vuole ascoltare tutto il disco: Anima Latina

Albero genealogico:

Figli, figliocci, adozioni: Milton Nascimento "Clube Da Esquina"

Fratelli: Rino Gaetano "Resta vile maschio dove vai"

Genitori: Jorge Ben "Jorge Ben"

Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!
leggi anche
The Band "The Last Waltz"
Cimeli
Quell’ultimo giro di valzer di un’epoca irripetibile nella musica americana
Eagles "Hotel California"
Cimeli
Quando basta la parola per riempirci di nostalgia: “Hotel California”, Eagles
Frank Zappa "Hot Rats"
Cimeli
Hot Rats, disco minore? No, la svolta vera dell’immenso Frank Zappa
Fabrizio De Andrè: Creuza De Ma
Cimeli
“Creuza De Ma”: e Faber anticipò la world music di Graceland e Peter Gabriel
commenta

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI