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Benmont Tench: il tastierista di Tom Petty “brilla” da solo

Lui suona con gli Heartbreakers, la storica band che accompagna Tom Petty e a sessant'anni suonati ci prova da solista. Ma "You Should Be So Lucky", primo album di Benmont Tench, risente e fortemente di influenze "classiche" di un certo rock, da Dylan a Joe Jackson, da Bruce a Warren Zevon. Brother Giober l'ha subito amato, e voi?

Giudizio:

* era meglio risparmiare i soldi ed andare al cinema

** se non ho proprio altro da ascoltare…

*** in fin dei conti, poteva essere peggio

**** da tempo non sentivo niente del genere

***** aiuto! Non mi esce più dalla testa

 

 

ARTISTA: Benmont Tench

TITOLO: You Should Be So Lucky

GIUDIZIO: ****

La prima cosa che mi ha colpito di questo lavoro è la copertina: quella persona china su un piano a coda ha richiamato alla mia memoria uno dei dischi preferiti di sempre: Night and Day di Joe Jackson.

Animato da curiosità ho quindi cominciato a cercare sul web chi diavolo fosse Benmont Tench scoprendolo presto perché trattasi del tastierista degli Heartbreakers, ovvero del gruppo di accompagnamento di Tom Petty. Che è come dire che Benmont Tench sta a Tom Petty come Roy Bittan al Boss, Billy Preston ai Beatles, Nicky Hopkins ai Rollin’. Mica poco.

Mi sono chiesto, prima di iniziare l’ascolto, cosa spinga una persona, a pubblicare il suo primo disco alla soglia dei sessant’anni, molti dei quali passati già sulle scene, quando oramai la carriera se non è al capolinea certo è in fase discendente. L’unica risposta possibile è anche la più banale e scontata: la voglia di poter raccontare qualche cosa di personale sino a che si è in grado e si può farlo, avendo la quasi assoluta certezza che il materiale a disposizione è di prim’ordine.

Se così non fosse, perché rischiare?

Ed è probabilmente questa consapevolezza ad aver convinto il nostro a tentare una carta che, per probabile timidezza, non aveva mai provato prima.

Per il suo esordio, “Benny” ha fatto le cose in grande: primo, ha chiamato intorno a se una folta (e importante) schiera di ospiti come Tom Petty, Ryan Adams, Ringo Starr, Gillian Welch, Don Was, quindi si è affidato a Glyn Johns come produttore, una vecchia volpe che, nel passato, ha messo il proprio marchio su alcuni grandi dischi, degli Who (Who’s Next), degli Eagles (Desperado), di Joan Armatrading (Show Some Emotion), di John Hiatt (Slow Turning).

L’etichetta poi è quanto di più classico si possa aspirare: nientemeno che la Blue Note, scelta robusta e, in qualche modo, coerente con certe atmosfere jazzate che a volte fanno capolino in alcuni brani, soprattutto quelli strumentali. 12 brani in tutto, due cover (di Dylan), la classica Corrina Corrina e la più recente (tratta da Tempest) Duquesne Wistle.

Il risultato finale? Eccellente e se non fosse perché temo di farmi prendere sempre un po’ troppo dall’entusiasmo della “prima ora”, meritevole di una votazione ancor superiore rispetto a quella data.

Il lavoro inizia con Today I Took Your Picture Down, non proprio una dichiarazione d’amore, ma un brano di estrema delicatezza, una ballata che a volte ricorda “il Bruce” più intimista, con una bella melodia e prodotta in modo magistrale con una ricercatezza dei suoni (piano e chitarra in particolar modo) da lasciar stupiti. L’intervento a metà del brano delle tastiere, che ricorda molto alcune parti di Roy Bittan, è, da solo, in grado di far capire quale può essere l’importanza di Tench nel suono degli Heartbreakers. Un brano con un retrogusto malinconico che però sono certo vi piacerà, e molto.

Veronica Said è più briosa e frizzante, ricorda alcune cose del band leader Tom Petty e, a me , anche alcuni brani di Elvis Costello. Il ritmo sale, la melodia è molto gradevole e la parte del leone questa volta è affidata all’organo.

Ecor Rouge è il primo dei due brani strumentali, ma non è un semplice ed inutile intermezzo. L’atmosfera rilassata, i suoni cristallini, la classe che traspira da ogni nota contribuiscono a elevare il pezzo al medesimo rango di importanza degli altri. Quindi non un brano avulso dal resto ma perfettamente coerente con l’insieme che ricorda alcuni esperimenti simili di Joe Jackson. Possibilmente da ascoltare al buio e con un impianto stereo all’altezza. Altrimenti, va bene ugualmente…

Introdotto da un soffio di percussioni suggestive ed eleganti ecco Hannah, un brano di grandissima classe, con una melodia struggente e un dialogo tra chitarra e organo ancora stupefacente.

Blonde Girl, Blue Dress ha il sapore di alcune ballads di Dylan, ma i riferimenti e i richiami sono molteplici: The Band, ancora Tom Petty, Bruce Hornsby, Elton John. Comunque un’altra grande canzone che scivola via che è un piacere. Questa volta è la chitarra acustica a lasciare un segno particolare.

La Title Track è più grintosa, una sorta di rock blues a metà tra i Rolling Stones e Warren Zevon, con un organo che fa tanto anni sessanta. Corrina Corrina è una della canzoni di Dylan più “coverizzate”, ma questa versione è una delle più belle da me mai ascoltate, per eleganza e delicatezza. L’intermezzo strumentale a metà del brano è struggente, l’interpretazione rispettosa e misurata ma partecipe. Una prova di grande classe su un brano sul quale sarebbe stato molto facile inciampare.

Dogwood ha un inizio fatto di percussioni e un andazzo quasi caraibico, la melodia è piacevole. Il brano è costruito in modo sorprendente ed è perfetto nella sua riuscita finale. Ancora una volta un lavoro di produzione eccellente.

Like the Sun ha un andamento che ricorda alcune cose dei vecchi Byrds e dei primissimi Eagles, il suono è lieve, il ritmo accattivante, la melodia azzeccata.

Wobbles è il secondo dei due strumentali, ed è tutto basato sulle melodie ricamate dal pianoforte di Tench. Qualche riferimento ad alcuni strumentali di Ry Cooder c’è, ma il tutto è estremamente personale e piacevole e per nulla noioso.

Why don’t You Quite me Anymore è una ballata pianistica, ancora struggente, senz’altro influenzata dal lavoro passato di Elton John. Semplice ma bella e suggestiva, è cantata con voce più grave del solito.

Chiude il tutto Duquesne Whistle da Tempest di Bob Dylan. È una versione abbastanza simile all’originale, un po’ meno sbilenca di quest’ultima, ha un andamento honky tonk con il contrabbasso a farla da padrone. Bella certamente anche se fatico a cogliere la ragione della scelta di un brano così recente.

Anche se il mio amato direttore, sbufferà perché “benny” è un signor nessuno a quindi “non gliene potrebbe fregare di meno ai lettori” vi dico che invece trattasi di gran bell’album, fatto con attenzione, cura maniacale dei particolari e rispetto verso l’ascoltatore, pieno di canzoni nettamente al di sopra delle media sempre rappresentate con grazia ed eleganza.

Vi piacerà se avrete la voglia e la pazienza di ascoltarlo.

N.B: Bap Kennedy (vedi recensione di martedì scorso) suonerà a Bergamo il prossimo 1 aprile, non so ancora dove, ma consiglio a tutti gli amanti della buona musica di alzare le antenne per non rischiare di perdere l’appuntamento. In più l’incasso sarà devoluto a fin di bene.

E’ tutto.

Se non si vuole ascoltare tutto il disco:

Hanna

Se non ti basta ascolta anche:

Joe Jackson – Night and Day

Bruce Hornsby – Here come the Noise Makers

Ben Sidran – Cool Paradise 

 

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