E’ scioccante la rivelazione che emerge dalle intercettazioni dei dialoghi in carcere tra Totò Riina e il boss Alberto Lorusso. Riguarda Paolo Borsellino, la strage di via D’amelio che uccise lui e la scorta il 19 luglio del 1992 a Palermo mentre il magistrato si stava recando dalla madre.
Riina spiega che il telecomando della carica era stato sistemato nel citofono del palazzo dove abitava la madre del procuratore Borsellino.
Paolo Borsellino, citofonando alla madre, avrebbe azionato la bomba piazzata dentro la Fiat 126, la bomba che non lasciò scampo al magistrato e ai cinque poliziotti della scorta.
Quest’ultima sconvolgente verità è adesso all’esame del pool coordinato dal procuratore Sergio Lari, che in questi anni non ha mai smesso di cercare la verità sui misteri di via d’Amelio.
I pm di Caltanissetta stanno ripercorrendo con attenzione le parole di Totò Riina, perché ancora oggi c’è un grande mistero attorno al telecomando che attivò l’ordigno della strage di luglio. Neanche gli ultimi due pentiti di Cosa nostra, Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina, hanno saputo dire chi avesse in mano il congegno elettronico.
Forse, perché è proprio come dice Riina? Forse, per davvero, nessun mafioso azionò il telecomando?
Troppo tempo è trascorso, e oggi è impossibile verificare cosa ci fosse per davvero dentro quel citofono.
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