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La recensione

Bergamo Film Meeting Roxanne, amore al tempo di Ceausescu

La prima serata della trentaduesima edizione del festival è iniziata alle 20,45 con la proiezione di una gemma dell’animazione. “Le chateau des autres” di Pierre-Luc Granjon (Francia , 2004), poi il primo film della mostra-concorso “Roxanne”, regia di Valentin Hotea (Ungheria/Romania, 2013), a seguire “La luna su Torino”, regia di Davide Ferrario (Italia, 2013) e poco dopo la mezzanotte il magnifico “La ragazza della Quinta Strada” di Gregory La Cava (USA 1939). Ci soffermiamo qui sui primi di due.

La prima serata della trentaduesima edizione del festival è iniziata alle 20,45 con la proiezione di una gemma dell’animazione. “Le chateau des autres” di Pierre-Luc Granjon (Francia , 2004), poi il primo film della mostra-concorso “Roxanne”, regia di Valentin Hotea (Ungheria/Romania, 2013), a seguire “La luna su Torino”, regia di Davide Ferrario (Italia, 2013) e poco dopo la mezzanotte il magnifico “La ragazza della Quinta Strada” di Gregory La Cava (USA 1939). Ci soffermiamo qui sui primi di due. “Le chateau des autres” di Pierre-Luc Granjon – Circa sei minuti di poesia attraverso immagini animate di pupazzi in cartapesta, niente dialoghi, solo musica. E l’eloquenza è massima, con inquadrature e sguardi dei personaggi che grazie all’abilità del modellatore, che è anche regista, ci raccontano con rara efficacia azioni e emozioni della gita scolastica di una scolaresca al castello. Uno dei bimbi si attarda, si perde, si spaventa un po’ e poi guadagna l’uscita e un nuovo amico nell’anziano venditore di biglietti all’ingresso.

“Roxanne”, regia di Valentin Hotea – Ambientato a Bucarest, è la storia di Tavi Ionescu, un quarantenne che decide di chiedere l’accesso al dossier redatto a suo tempo a suo carico dalla Securitate, la polizia segreta rumena del regime di Ceausescu. Ora i dossier della Securitate sono disponibili e per avere risposte – anche su eventuali informatori o delatori – basta compilare gli appositi moduli e avere pazienza. Tavi è curioso di sapere chi fu l’informatore che mise nei guai lui e la sua ragazza, Roxanne, per una dedica “sovversiva” alla radio. Nei documenti dell’archivio scopre però che la ragazza era incinta al momento dell’interrogatorio e dunque si attiva con caparbietà per arrivare a capire se è davvero lui il padre e come avvicinarsi al ragazzo. Nel frattempo infatti la donna si è sposata con un altro compagno dei tempi del liceo e ha avuto effettivamente un figlio – ora ventenne- e due gemelli ancora bambini. Non sveleremo né come si dipana la vicenda padre-figlio né chi fu l’informatore, ma diciamo solo che questa storia in realtà altro non è che l’occasione per raccontarci la necessità di ricucire alcuni strappi e colmare alcuni vuoti da parte di una generazione ufficialmente liberata dall’oppressione del tremendo regime totalitario e apparentemente appagata dal benessere consumistico. E’ la generazione del regista, che allora ascoltava – probabilmente clandestinamente – la musica dei “Police” e oggi è come bloccata (più volte nel film alle domande sulla sua vita Tavi risponde senza parlare né della fidanzata, né del lavoro, ma citando solo l’accesso ai dossier in corso), vive il disagio di trovarsi ancora senza alcune risposte, a sandwich tra la generazione dei genitori affetta da amnesia “storica” (la madre di Tavi soffre davvero di Alzheimer nel film) e quella dei figli preoccupati soprattutto di avere la macchina nuova o che non riescono a mettere a fuoco il presente, figuriamoci il passato (i piccoli gemelli di Roxanne soffrono di deficit di attenzione). L’età della madre di Tavi, 68 anni, viene specificamente menzionata per ricordare – a chi vuol fare i conti – che vent’anni prima apparteneva alla generazione cui il regime tolse la possibilità di vivere e concesse solo di tirare a campare senza orizzonte. La visita alla casa di riposo, elegante e pulitissima, ci restituisce una fugace immagine di anziani sonnecchiosi, che non vogliono interagire con gli altri. Tra gli amici di Tavi c’è chi ha fatto i soldi, chi li vuol fare, chi ha messo su famiglia e chi parte. Ottenute le risposte che cercava, prese faticosamente le decisioni che ne conseguono, anche Tavi cercherà altrove, a Tallin, di cominciare finalmente a vivere. Il film non ha impennate creative e registiche degne di nota ma dissemina con diligenza lungo tutta la pellicola gli elementi – i più evidenti sono i notiziari radio e i programmi tv che scorrono sullo sfondo visivo o sonoro di alcune scene- necessari a inserire la narrazione nel contesto della riflessione sulla Romania vent’anni dopo Ceausescu.

Paola Suardi

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