di Marco Cimmino
Il tempo gramola ogni cosa: cancella le tracce degli uomini e degli imperi. In pochi posti si percepisce questo incessante logorio, questa trasmutazione invisibile, come sulle rive del Piave, in quella fetta di Veneto che sta tra la montagna e il mare. Cent’anni fa, queste terre che oggi appaiono come l’immagine stessa di una serena vita di provincia, videro uomini e cose divelti e scagliati lontano dalla forza paurosa del fuoco e dell’acciaio: vi dominarono per lunghi mesi caos e morte. Difficile crederlo, osservando la pacifica e composta sfilata delle viti o la pigrizia dei canali. Eppure, il Piave, tra il novembre del 1917 e l’ottobre del 1918, urlò, anziché mormorare, come nell’improbabile canzone. Ed urlarono, tutti assieme, i mille e mille cannoni: urlarono i fanti, sotto l’uragano, urlò l’Europa, che si stava suicidando. Oggi, di tutto quel formidabile frastuono, di quelle voragini sconvolte e di quei brandelli di carne e di divise, non resta nulla: assolutamente nulla. La terra, morbida e plastica, del Montello e delle Grave, ha rimarginato le proprie ferite. Eppure, io vi suggerisco di andarci lo stesso, lungo il “Fiume Sacro alla Patria”: un viaggio fuori porta un po’ più lungo del solito, forse, ma pieno di buoni motivi.
Perché, se sono svaniti i segni della violenza, potrete, comunque, visitare i luoghi della pietà: i sacrari militari. Ce ne sono parecchi, lungo il corso del Piave, oggi tanto diverso da quello originario. Uscite, dunque, dall’autostrada Venezia-Belluno, a Treviso Sud, e poi prendete la via Postumia occidentale. La strada è più corta e più comoda dalla nuova bretella di Mestre. Di lì arriverete al primo sacrario, il più orientale di tutti, che è quello di Fagarè, vicino a San Biagio di Callalta: oltre alla visita al monumentale cimitero di guerra, potrete conoscere due curiosità davvero uniche. A Fagarè, per cominciare, sono conservati dentro delle teche due frammenti di muro, che sono, probabilmente, due dei graffiti più famosi della nostra storia: sono le scritte, vergate da qualche ignoto soldato, durante la battaglia del Solstizio (giugno 1918), che recitano “Tutti eroi! O il Piave o tutti accoppati!” e “E’ meglio vivere un giorno da leone che cento anni da pecora”. Tra l’altro, questo secondo motto è stato, da molti, erroneamente attribuito al fascismo, che, invece, era ancora di là da venire. Inoltre, il sacrario nasconde un’altra storia: i bassorilievi in marmo, che raffiguravano i soldati austrotedeschi nell’atto di fare violenze sui civili friulani e veneti, sono stati distrutti, dopo l’8 settembre 1943, dalle truppe d’occupazione germaniche, perché ritenuti offensivi della dignità della Wehrmacht. Una storia nella storia.
Proseguite verso le montagne, adesso: verso il Grappa, che vi apparirà azzurro ad occidente. Potete seguire il corso del fiume, che è scelta più lunga e suggestiva, o riprendere l’autostrada ed uscire a Conegliano, per poi ridiscendere per un breve tratto verso Susegana. Arriverete a Nervesa e al Montello: qui si trova il secondo grande ossario, in forma di bianca “Totenburg”, la fortezza dei morti. Intorno, cippi e piramidi ricordano la battaglia d’arresto dell’autunno ’17, quella difensiva e, infine, l’ultimo sforzo italiano per la vittoria: quando l’VIII armata di Cavan e di Caviglia, a un anno esatto da Caporetto, ripassò il Piave e prese Vittorio Veneto. Proprio vicino al sacrario di Nervesa, un piccolo monumento indica il punto dove cadde l’asso degli assi italiani: il maggiore pilota Francesco Baracca, la cui insegna, il cavallino rampante, sarebbe poi stata donata dai suoi eredi ad Enzo Ferrari. E ancora campeggia sui bolidi di Maranello. Risalendo il fiume, verso Feltre, potrete trovare, ancora i cimiteri francesi, inglesi e tedeschi, fra Alano e Quero-Vas. Io, però, vi propongo di varcare il Piave alla Priula, di proseguire lungo la sua sponda sinistra e di andare a vedere i paesi di quella specie di Toscana veneta che sono i colli pedemontani. Come Sernaglia, cui D’Annunzio intitolò la celebre preghiera. Troverete Moriago e l’Isola dei Morti: enormemente più realistica di quella, pure bellissima, di Boechlin. Infine, dopo tanta strada e tanta morte, pensate un po’ anche alla vita e al presente e a sedervi in piacevoli desinari: siete vicini a Valdobbiadene e qui il prosecco ve lo servono freschissimo, alla spina. Siete venuti per ricordare una guerra, ma nulla vi vieta di godervi le meraviglie di questa terra benedetta, in sacrosanta pace.
Buon viaggio.
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