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La recensione

“A proposito di Davis” Una spirale allegorica per svelare l’esistenza

"A proposito di Davis" è una ballata comica e struggente per uno dei perdenti più belli della galleria proposta dai fratelli Coen. La nostra Paola Suardi: "Affettuosamente dolente, intelligente e a tratti divertente". E il voto è felliniano: 8,5

Titolo: A proposito di Davis;

Regia: Joel Coen, Ethan Coen;

Genere: drammatico;

Durata: 105 minuti;

Cast: Oscar Isaac, Carey Mulligan, Justin Timberlake, Ethan Phillips, Robin Bartlett;

Voto: 8,5;

Attualmente in visione: al Conca Verde di Bergamo

 

Vincitore del Grand Premio della Giuria a Cannes 2013. Affettuosamente dolente, intelligente e a tratti divertente. Il titolo originale di questo ultimo film dei fratelli Coen, ambientato nel 1961 nel sottobosco musicale folk del Greenwich Village, è "Inside Llewyn Davis". Allude al titolo del disco che il protagonista -folk singer esordiente e spiantato- ha realizzato per promuoversi, ma anche al contenuto del film stesso che racconta un pezzo di vita di Llewyn – più o meno una settimana – addentrandosi (inside appunto) con lo spettatore nella sua situazione affettiva, artistica ed esistenziale oltre che nei suoi guai.

Magistrale la fotografia di Bruno Delbonnel, per il taglio compositivo delle inquadrature e gli accostamenti cromatici – grigi caldi con toni aranciati o azzurri polverosi – che contribuiscono a creare quell’atmosfera di intimità col protagonista e gli ambienti in cui si muove. Inesauribili gli spunti disseminati dai due fratelli registi attraverso la colonna sonora e i testi delle canzoni, oppure attraversi i nomi dei personaggi come "Jim" e "Jean", dal suono quasi identico a segnalare ruoli sovrapponibili e intercambiabili come artisti (entrambi belli e desiderabili…).

Con la consueta ironia (immagini e sceneggiatura trancianti ci fanno più volte sorridere ma aprono spiragli agrodolci di riflessione) i Coen creano infatti un’intimità col personaggio accompagnandolo di casa in casa, di divano in divano, di viaggio in viaggio con l’autostop, di canzone in canzone, mentre squattrinato si appoggia ora ad amici e conoscenti, ora alla sorella ora a sconosciuti.

Intanto aumentano la sua stanchezza e forse la consapevolezza d’essere d’ostacolo a se stesso. A voler giocare con la geometria si potrebbe dire che la pellicola ha un andamento circolare, perché inizia e termina nella stessa situazione narrativa (attenzione però che nel finale, all’interno di sequenze visive e battute pressoché identiche all’inizio, i Coen introducono in controluce on stage la figura di un cantautore dai capelli e dalla voce nasale che è inequivocabilmente Bob Dylan, giovane folk singer che sfonderà).

La circolarità a un certo punto si fa ellissi, quando il fuoco della narrazione si sposta da New York a Chicago e il film diviene road movie, con un viaggio in auto notturno e fosco che è simbolica discesa agli inferi e mostra a Llewyn la tragica deriva in cui potrebbe cadere (viaggia con un supponente jazzista eroinomane e storpio e un silenzioso poeta beat che viene arrestato per resistenza a un agente).

Dopo un’audizione infruttuosa a Chicago Llewyn torna in autostop a New York e ci accorgiamo che la figura geometrica più rispondente alle vicende è la spirale in cui Llewyn si avvita, salendo scale che non portano più in alto ma sempre alle stesse soglie, allo stesso bivio di un corridoio angusto con in fondo due porte (e lui bussa sempre alla stessa), alle prese con un gatto fulvo che continua a perdere e trovare lungo tutto il film (divertita metafora di sé e della sua vocazione artistica?), con la burocrazia che gli impedisce di imbarcarsi sui mercantili e cambiare vita, con gli stessi citofoni e gli stessi divani, trascinandolo di nuovo a cena a casa degli intellettuali accoglienti e buonisti dell’Upper West Side con cui aveva rotto pochi giorni prima e poi alla scena finale in cui viene malmenato da un "uomo in giacca e cravatta" che resta nell’ombra.

I Coen non ci mostrano il volto di costui, ma sappiamo che punisce Llewyn con violenza perché ha offeso sua moglie la sera prima mentre suonava nel locale, lo vediamo fuggire velocemente in taxi e intuiamo che è assai lontano dalle logiche "peace and love" cantate dalla moglie.

Ancora ironia.

Nell’ultima inquadratura Llewyn si rivolge verso il taxi e dice "au revoir" allo sconosciuto, ma Il controcampo del suo viso è anche il saluto e l’appuntamento dei Coen al pubblico.

Paola Suardi

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