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Economia

L’industriale Ghilardi: Electrolux, idea necessaria per rimanere competitivi

Raffaele Ghilardi, presidente del gruppo dei metalmeccanici di Confindustria Bergamo, commenta la proposta del Gruppo Electrolux sul taglio di stipendio, riduzione ore e premi aziendali: "Non si prende mai con piacere una medicina amara, ma per combattere la malattia a volte è necessario. E adesso siamo malati”.

La proposta di Electrolux, il colosso svedese degli elettrodomestici, è destinata a far discutere. Il gruppo ha proposto ai dipendenti italiani una riduzione di stipendio a fronte di una riduzione di ore giornaliere lavorate da 8 a 6, passando dagli attuali 1.400 a 800 euro al mese, la riduzione dell’80% dei 2.700 euro di premi aziendali e il blocco dei pagamenti delle festività, oltre al dimezzamento di pause e permessi sindacali e lo stop agli scatti di anzianità.

Raffaele Ghilardi, presidente del gruppo metalmeccanici di Confindustria Bergamo, premette di non voler entrare nel dettaglio della proposta Electrolux, ma approva il concetto di fondo e lo fa con una metafora: “A volte c’è da chiedersi se sia meglio una mucca viva con tre zampe o una mucca con quattro zampe ma morta”.

E subito aggiunge: “Lo dico da imprenditore: l’Italia non è più un Paese competitivo. Ho un’azienda in America e una in Germania e facendo i confronti alla fine risulta che produrre in Italia costa di più. Anzi troppo. E questo non permette di attrarre investimenti e di avere lavoro”.

Sul fronte delle sforbiciate proposte da Electrolux, Ghilardi non nasconde che “si tratta di un’idea necessaria. Electrolux è un colosso globale e fa i conti, si è sempre fatto così da che mondo è mondo, e alla fine se i risultati non tornano si deve intervenire per sopravvivere”. E precisa: “Si guarda allo stipendio ridotto, ma bisogna specificare che il taglio risponde ad una riduzione di ore lavorate, si passa da otto a sei al giorno”.

Non crede che così facendo si spazzi via in un solo colpo anni di battaglie per dei diritti acquisiti dai lavoratori?

“No, non credo. Se il sindacato non fa ideologismo ma guarda all’interesse del lavoratore sa che con la concretezza la sera c’è un piatto di minestrone, semplificando: c’è lavoro e quindi occupazione. Se si fa solamente ideologismo si rischia che la sera sul tavolo non ci sia nulla. Dirò di più: credo che in bergamasca ci siano già aziende che hanno trattato con i sindacati e per il bene di tutti si sia rinunciato a qualche privilegio per poter mantenere il lavoro. Queste riduzioni, o se si vogliono chiamare rinunce, sono necessarie per restare competitivi: è una medicina amara. Non si prende mai con piacere una medicina amara, ma per combattere la malattia a volte è necessario. E adesso siamo malati”.

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