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Ballate e suoni antichi ma Rosanne non è solo la figlia di Johnny Cash

Rosanne Cash torna dopo "The List" con il nuovo "The River and the Thread" e Brother Giober conferma il suo primo giudizio: un disco ispirato, profondo, pieno di bella musica. Negli Stati Uniti ha raccolto ottime recensioni, da noi venderà poco ma merita 4 stelle.

Giudizio:

* era meglio risparmiare i soldi e andare al cinema

** se non ho proprio altro da ascoltare…

*** in fin dei conti, poteva essere peggio

**** da tempo non sentivo niente del genere

***** aiuto! Non mi esce più dalla testa

 

 

ARTISTA: Rosanne Cash

TITOLO: The River and the Thread

GIUDIZIO: ****

Ho ascoltato per la prima volta Rosanne Cash circa quattro anni fa, all’indomani dell’uscita del suo disco The List, una raccolta di brani affidatale dal padre, il grande Johnny Cash. Un disco che acquistai più perché incuriosito dalla collaborazioni presenti (il Boss, Elvis Costello) che non da altro.

Contro ogni mia più rosea aspettative il lavoro è diventato presto uno dei miei preferiti ed è passato molto tempo prima di decidere di toglierlo dal mio car stereo. Il che per me significa molto.

The List è un disco molto bello, caldo, che ancor oggi suona meravigliosamente. Canzoni vellutate, emozionanti, atmosfere calde, interpretazioni toccanti e su tutte Sea of Heratbreak il duetto con Bruce Springsteen, una canzone stupenda.

Mi sono quindi documentato e ho appreso che Rosanne è tutto tranne che una figlia di papà: la sua carriera non ha i segni dello sfruttamento commerciale, ma è seria, fatta di uscite discografiche ragionate, ponderate, senza alcuna ansia mercantile, tutte testimonianza di un percorso artistico onesto. Negli Stati Uniti è comunque una celebrità. Ma solamente là.

Quindi, per me, l’attesa per questo nuovo lavoro era alta. Ero in particolare incuriosito dal risultato complessivo che questa volta non beneficiava di collaborazioni di grido che pochi si potrebbero permettere, ma invece era il frutto di uno sforzo individuale dell’artista, la quale si cimentava anche come autrice, seppur in collaborazione con il marito.

Il disco è uscito il 14 gennaio, l’ho scaricato lo stesso giorno e da allora ho iniziato ad ascoltarlo con attenzione anche perché tutta la critica di oltreoceano ne parla benissimo e, così, anche i primi che si sono cimentati a farlo in Italia come Carù e Rockol.

La fotografia, il titolo del lavoro così quello di certe canzoni, suggeriscono che quello di Rosanne sia un lungo viaggio scandito dai ritmi lenti dello scorrere di un fiume nei meandri della memoria, alla riscoperta di luoghi e persone care le cui vicende si intrecciano con i grandi avvenimenti storici, ad ognuno dei quali affiancare un dipinto musicale, pregno degli umori, dei climi, delle atmosfere del sud degli Stati uniti.

E così i suoni sono “antichi”, legati alle radici: country, blues, hillibilly, folk, chitarre (tante) che “ricamano”, sezioni ritmiche ammorbidite dal suono delle percussioni.

Le canzoni hanno la forma della ballata, sono cantate benissimo, con intonazione perfetta e senza sbavature.

Le collaborazioni sono ancora altisonanti ma ristrette ad una cerchia di artisti di culto (Kris Kristofferson, John Prine, Dereck Trucks, Tony Joe White) ed in grado di garantire quel quid in più proprio di chi partecipa convinto al progetto.

Merito anche della produzione affidata al marito di lei, John Leventhal, un chitarrista e produttore che ha suonato con tutto il modo che conta (Jackson Browne, Willie Nelson, Bruce Hornsby, Elvis Costello, Dolly Parton, Emmylou Harris, Charlie Haden, David Crosby, Levon Helm, Edie Brickell, Paul Simon, Patty Larkin, Susan Tedeschi) capace di garantire all’insieme una cornice musicale elegante, raffinata, ricercata, mai scontata.

Non vi sono grandi concessioni alle mode, neppur all’alt-country. E neppure il disco è l’occasione per accostare Rosanne alla musica del padre, più istintiva quella, più ragionata questa, più viscerale quella di Johnny più introspettiva quella di Rosanne. Musica da piccoli club fumosi piuttosto che da arene all’aperto.

Volendo fare alcuni accostamenti, non so quanto utili, il lavoro è accostabile all’ultimo disco di Lisa Marie Presley, laddove predomina il country e a quello di Ruthie Foster laddove lo stile è più orientato al blues. Ma in genere i suoni, e soprattutto quelli della chitarra, mi ricordano i lavori di Ry Cooder quelli più ispirati.

Qualcuno potrebbe provare un pizzico di noia all’ascolto, perché non è una musica che induce al movimento, ma alla riflessione: va degustata come tutte le cose buone. È una musica dai colori pastello, tenui, autunnali.

L’inizio dell’intero lavoro è affidato a A Feather’s not a Bird, un brano pregno di blues, con una chitarra che ricorda le ultime uscite di Ruthie Foster. La storia è ispirata alle vicende di una vecchia sarta di Florence. Un brano appena ritmato con alcuni stop che ne arricchiscono il pathos, violini, cori gospel e, mi ripeto, una grande chitarra. Una canzone elegantissima.

Più convenzionale la successiva The Sunken Land, prevalentemente acustica, ricca di mandolini, un mid tempo, prodotto perfettamente. Suoni scarni ma assolutamente essenziali. Un altro gran bel pezzo.

Più vicina alle atmosfere del brano di apertura è Etta’s Tune. Etta era la moglie di Marshall Grant, bassista dei Tennessee Two, il primo gruppo ad accompagnare Johnny Cash. Marshall Grant, per Rosanne un secondo papà, venne invitato da quest’ultima ad un concerto per promuovere la raccolta fondi destinati al restauro della casa natale del padre. La stessa notte Grant venne colpito da aneurisma e morì due giorni dopo. Il brano è dolcissimo, una sorta di ninna nanna cantata con sentito trasporto. Atmosfere lievi, una spruzzata di suoni appena accennati, il ritmo di un contrabbasso in primo piano, una bella melodia e un’interpretazione superba.

Modern Blue è più vicina a cose già sentite ed ha suoni più scontati. Ma ha una melodia azzeccata, un ritmo più sostenuto del solito, che ricorda per certi versi alcune composizioni di Tom Petty, e un riff di chitarra che non lascia indifferenti.

Atmosfere pervase da una maggiore tensione sono invece quelle della successiva Tell Heaven: questa volta è la chitarra acustica ad essere protagonista mentre i suoni di una percussione in sottofondo danno profondità al brano. Il brano è un bozzetto di neanche 3 minuti che lascia il segno.

Di grande impatto emozionale è la successiva The Long way Home, ancora una ballata d’atmosfera, arrangiata stupendamente, con una chitarra perfettamente intonata al clima generale.

Dal ritmo più sostenuto del solito World of Strange design, con una chitarra slide affidata alle preziose mani di Dereck Trucks, più invadente del solito e con una serie di stop e riprese che danno ritmo al tutto. A suo modo un blues nel senso classico del termine.

Dolcissima è invece Night School, fatta solamente di una chitarra acustica, peraltro solo accennata, di un canto appena sussurrato e con un violino in sottofondo a dare maggiore consistenza al tutto e, forse, a descrivere la nostalgia e l’affetto verso i tempi trascorsi.

Forse più vicina che in precedenza ai suoni di un country legato alla tradizione è 50.000 Watts, cantata insieme a Cory Chisel dei Wandering Sons, una ballata che celebra la stazione radio WDIA di Memphis, quella stazione che negli anni ’50 attirava le attenzioni di tutta la gioventù tra la quale lo stesso Cash e che ricorda alcuni suoni tipici dei lavori di Dolly Parton, piuttosto che di Emmylou Harris, e dove è evidente l’amore per la tradizione musicale.

Ancora legata alle radici della musica americana è When the Master Calls the Roll, una ballata fatta di banjo e violino, doppie voci, che si distingue da tante canzoni del genere per via di una produzione ancora straordinaria e di un modo di cantare che è sempre assolutamente elegante.

È ancora d’atmosfera Money Road una lenta ballata, priva di una melodia ben riconoscibile, con un grande solo di chitarra sul finire. Nonostante ciò, però, forse uno degli episodi meno riusciti dell’intero lavoro.

La confezione deluxe contiene altri tre brani. Two Girls, di Townes van Zandt, forse perché legata a ricordi lievi, è invece più allegra del solito, il ritmo, seppur supportato da suoni acustici, è gioioso, il modo di cantare più leggero che in altre parti e anche la chitarra questa volta ha suoni spensierati. Bella è Biloxi, di Jesse Winchester, con le sue parti strumentali, con i suoni dei tamburi che arrivano da chissà dove, con Rosanne che canta lentissima, centellinando le parole. Chiude il tutto, in bellezza, Your Southern Heart, e il rinvio del titolo non è certo causale. Il brano è diverso dagli altri con un pizzico di archi che questa volta è giocoso e scenografico.

Che dire? In definitiva un gran bel lavoro, ispirato, profondo, pieno di bella musica.

Venderà, esclusi Stati Uniti, pochissimo, anche se questo, immagino, importerà poco a Rosanne Cash e neppure a quelli che amano la musica a prescindere.

Se non si vuole ascoltare tutto il disco:

A Feather’s not a Bird

Se non ti basta ascolta anche:

Lisa Marie Presley – Storm & Grace

Ruthie Foster – Let it Burn

Ry Cooder – Bop Till Your Drop

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