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“Gli anni spezzati”, miniserie tv: occasione sprecata

La nostra rubrica dedicata alla serialità affronta la freschissima miniserie televisiva “Gli anni spezzati”, andata in onda martedì e mercoledì su Rai Uno: “Perchè la tv generalista spende denaro, tempo ed energie per realizzare un prodotto così modesto?”.

di Ivan Leoni

Dopo aver guardato le prime due puntate della miniserie televisiva "Gli anni spezzati", andata in onda martedì e mercoledì su Rai Uno, mi chiedo quali siano le vere motivazioni che spingono i protagonisti della tv generalista a spendere denaro, tempo ed energie per realizzare un prodotto così modesto.

E’ vero, come qualcuno ha già fatto notare, che ogni volta che in Italia si affronta il passato (più o meno recente) piovono critiche che sembrano guidate col pilota automatico. Ma, francamente, non si può nemmeno pretendere di ricevere applausi quando si tenta di agire sulla memoria collettiva di una nazione mettendo in scena una narrazione da opera dei pupi o da filodrammatica.

Per carità, offrire una lettura condivisa di un periodo storico così segnato dalla conflittualità sociale non è certo cosa facile. Ci vogliono mani abili, cuori forti e menti oneste: ma perché farlo se poi ci si riduce a trasfigurare l’umanità dei protagonisti di quegli anni con dialoghi così piatti? Cui prodest sovraccaricare di santità quegli uomini che hanno invece vissuto il loro presente, portando consapevolmente sulle loro spalle il peso delle loro azioni, anche sapendo che avrebbero potuto pagarne il prezzo più alto? Perché ricostruire in modo così didascalico – e contemporaneamente ambiguo – vicende come la strage di Piazza Fontana e l’omicidio Pinelli, alludendo fumosamente alle responsabilità delle istituzioni?

D’accordo, a distanza di quarantaquattro anni nemmeno la magistratura è riuscita ad identificare con definitiva certezza le responsabilità storiche delle stragi; ma se non si ha nemmeno il coraggio di raccontare le verità – già accertate in sede processuale – sui depistaggi attuati da uomini dello stato, perché cimentarsi in un’opera di tale portata?

“Gli anni spezzati” si concentra puntigliosamente sulla cronologia per poi dimenticarsi clamorosamente di tratteggiare le ragioni di quel conflitto e il clima di quegli anni. A distanza di oltre quarant’anni ci si potrebbe anche legittimamente aspettare una rappresentazione quasi pacificata degli anni Settanta: non si deve mica essere dei pasdaran del “gomblotto” per affermare che la strategia della tensione messa in atto da alcuni uomini dello stato puntava, attraverso le bombe, a destabilizzare l’ordine sociale per stabilizzare l’ordine politico. Così come non si corre certo il rischio di essere additati come beceri reazionari se si affrontano in modo serio le storture prodotte dal terrorismo.

In occasione dell’uscita nelle sale di “Romanzo di una strage di Marco Tullio Giordana, Goffredo Fofi si chiedeva come fosse possibile che artisti, intellettuali e professionisti delle comunicazioni di massa, non riuscissero mai o quasi mai a raccontare degnamente il tempo passato e a essere all’altezza dei problemi di questo. Una possibile risposta è che, probabilmente, una certa elite intellettuale ha una considerazione veramente infima e bassissima degli italiani e li considerano alla stregua di alunni elementari sciocchini e svogliati, interessati solo alla ricreazione.

Quindi ci si accontenta di parodie di ricostruzione storica che suonano quasi come una (in)volontaria strategia della rimozione che impedisce di affrontare, confrontare e, al limite, conciliare memorie divise. E così facendo si inibisce la maturazione di una coscienza civile unitaria e si confeziona invece un pubblico di fruitori di favolette, pronti a consegnarsi nelle mani degli imbonitori di turno. Insomma, l’ennesima occasione sprecata.

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