• Abbonati
Letto per voi

Civati, Zingales, Gori: quanti ne ha già rottamati Renzi?

Claudio Cerasa su Il Foglio fa un'analisi politica su Renzi che rischia di diventare come il presidente del Palermo: più famoso per quanta gente allontana che per le sue vittorie. Che fine hanno fatto Giuliano da Empoli, Roberto Reggi e Luigi De Siervo? Tutti protagonisti di Leopolde e campagna 2012, spariti nel 2013. Ora gli restano 5 pilastri: Carrai, Lotti, Boschi, Delrio, Nardella…

Claudio Cerasa su Il Foglio fa un’analisi politica su Renzi che rischia di diventare come il presidente del Palermo: più famoso per quanta gente allontana che per le sue vittorie. Che fine hanno fatto Giuliano da Empoli, Roberto Reggi e Luigi De Siervo? Tutti protagonisti di Leopolde e campagna 2012, spariti nel 2013. Ora gli restano 5 pilastri: Carrai, Lotti, Boschi, Delrio, Nardella…

 

di Claudio Cerasa

La squadra del sindaco, il Lingotto e la lunga lista dei rottamatori rottamati. Così i renziani si preparano alle primarie con l’incubo di non riuscire a curare la sindrome Zamparini. Quando alla fine del mese Matteo Renzi arriverà sulla panchina della stazione Leopolda – dopo essere passato per il suo Lingotto di Bari, dopo avere acceso i motori della sua campagna elettorale, dopo aver sparpagliato qua e là alcuni semi utili a far germogliare la momentanea pax democratica del Pd – ci saranno naturalmente molte questioni da sviscerare, molti punti da toccare e molte rottamazioni da realizzare; ma tra le tante cose che verranno messe al centro della corsa per conquistare il Pd ci sarà un tema che forse più degli altri il Rottamatore dovrà affrontare per dimostrare di aver superato quella che potremmo semplicemente definire la sindrome Maurizio Zamparini. Maurizio Zamparini, lo sapete, è il famoso proprietario di una squadra di calcio, il Palermo, che oltre a essere conosciuto per i suoi successi imprenditoriali è noto anche per essere il presidente che nella storia recente dei nostri campionati ha cambiato con maggior frequenza la panchina del proprio team (cinquantadue allenatori esonerati in ventisei anni, mica male).

Quello di Zamparini è ormai diventato quasi un disturbo ossessivo compulsivo, e spesso gli esoneri del presidente vengono catalogati dagli osservatori nella categoria del folclore calcistico. Quello di Renzi, invece, potrebbe diventare un problema non da poco per un leader che da un lato promette gioiosamente di rottamare il mondo e dall’altro lato, quando prova a proporre una squadra con cui sostituire il mondo da rottamare, si ritrova regolarmente a fare i conti con un fenomeno simile a quello che vede protagonista Zamparini: anno che viene e panchina che salta. Il problema si lega a una traccia maligna che viaggia in modo parallelo rispetto al percorso seguìto in questi anni da Renzi. Ed è una questione che riguarda un punto di cui forse anche il sindaco oggi si è reso conto.

Fare squadra. Fidarsi di qualcuno.

Trovare le persone giuste per scrivere una nuova storia. Ed evitare che la teoria (giusta) che la sinistra non deve avere paura dell’uomo solo al comando possa essere contraddetta dal fatto che il Rottamatore, a giudicare dalle panchine saltate, rischia di essere percepito (a ragione) come un uomo troppo solo al comando. E la storia delle Leopolde, in qualche modo, conferma che la frequenza con cui Renzi ha fatto saltare le sue panchine ha un ritmo, come dire, molto zampariniano. E basta riavvolgere il nastro di qualche anno per capire di cosa stiamo parlando. Il primo esempio è datato 2010. Siamo a Firenze, Renzi è stato da poco eletto sindaco, e a ottobre organizza la sua prima convention (Prossima Fermata Italia) insieme con quello che ieri era il suo gemello del gol e che oggi è invece il suo principale nemico nella corsa per conquistare il Pd: Pippo Civati. Nel 2010, sulla panchina della Leopolda, tra un video di Oliver Hutton e uno di Benji Price, una foto di Steve Jobs e una di Barack Obama, un audio di Jovanotti e uno di Luciano Ligabue, Renzi e Civati erano lì, seduti sul palco, a mixare canzoni, a dettare i tempi della convention e a promettersi amore eterno per rottamare insieme la vecchia sinistra italiana. L’amore non durò molto e pochi mesi dopo Civati e Renzi erano già lì che si mandavano gentilmente a quel paese. Passano alcuni mesi, arriva la nuova Leopolda, Renzi cresce nei sondaggi, il sindaco comincia a prendere fiducia e, sempre da Firenze, ci si adopera per costruire una nuova squadra.

Si punta tutto sull’economia, questa volta, e qui il playmaker, per Renzi, è il professor Luigi Zingales. Trascorrono altri mesi, arriva la nuova Leopolda, Renzi continua a crescere nei sondaggi, le primarie si avvicinano, Zingales si allontana però dal mondo del Rottamatore (finisce con Giannino), arriva Pietro Ichino e, durante il 2012, diventa lui il grande consigliere del sindaco sui temi economici. Ichino e Renzi, per molti mesi, sono come un’unica persona, poi Renzi perde le primarie, Bersani organizza la sua gioiosa macchina da guerra, Renzi non riesce a trattenere Ichino nel Pd e il professore va con Monti. Renzi non la prende bene e accusa Ichino di essere scappato via con il pallone.

Nulla di grave, solo un’altra separazione, un’altra panchina saltata, una nuova squadra da rifare. Piccoli dettagli. Che diventano però dettagli importanti se il nastro viene riavvolto alla fine dello scorso anno, subito dopo la Leopolda più famosa, quella di "Adesso". Sulla panchina, insieme con Renzi, c’erano due politici che oggi sono parlamentari del Pd, Davide Faraone e Matteo Richetti (due politici con cui oggi Renzi ha rapporti meno calorosi rispetto a qualche anno fa, soprattutto con Richetti, che non ha apprezzato la scelta fatta dal sindaco di puntare su Stefano Bonaccini come candidato al comune di Modena). Ma attorno a quella panchina, i cui protagonisti verosimilmente non saranno protagonisti anche della prossima Leopolda, vi erano altre squadre un po’ invisibili e un po’ no che ieri scortavano il camper di Renzi e che oggi si trovano invece lontani dai motori renziani.

I nomi sono quattro.

Il primo è quello di Giorgio Gori, amico, sostenitore e architetto della comunicazione del sindaco durante le primarie 2012 e che oggi, dopo una serie di peripezie post primarie, si è molto allontanato dal cuore del sindaco. Il secondo nome è quello di Giuliano da Empoli, gran teorico del renzismo, uomo chiave del suo programma elettorale nel 2012 (le schede dei collaboratori del sindaco arrivavano materialmente a lui), capo del think tank Big Bang con cui i Rottamatori avrebbero dovuto dar vita a una sorta di centro studi capace di declinare culturalmente il renzismo (il think tank non è mai decollato) e che oggi invece, come Gori, è finito anche lui distante anni luce dal mondo del Rottamatore (al punto che, a differenza del 2012, Da Empoli non è stato in nessun modo coinvolto in questa campagna elettorale).

Il terzo nome è quello di Roberto Reggi, il coordinatore della campagna elettorale del 2012, l’ex braccio destro del Rottamatore, il grande watchdog del renzismo, rimasto fuori dalla lista dei parlamentari renziani a inizio anno e oggi tornato, per forza di cose, a fare l’ingegnere nella sua Piacenza. Infine, nome numero quattro, l’altro gran visir del renzismo rimasto oggi fuori dalla panchina del Rottamatore è quello di Luigi De Siervo.

De Siervo, 44 anni, fiorentino, direttore di RaiTrade, figlio dell’ex presidente della Corte Costituzionale Ugo De Siervo, è amico da una vita di Renzi, è stato uno dei protagonisti, da dietro le quinte, della campagna elettorale del 2012 e oggi, d’accordo con Renzi, ha scelto di fare un passo indietro, di rimanere in disparte e di non seguire più l’amico Matteo nella corsa politica. Tutti piccoli dettagli, piccoli tasselli, piccole tessere di un mosaico che dice che nell’irresistibile cavalcata del sindaco di Firenze esiste un lungo elenco di rottamatori rimasti in qualche modo vittime della loro stessa rottamazione. Da questo elenco si salva solo la squadra dei vecchi, vecchissimi amici fiorentini, gli unici di cui il sindaco si fida al cento per cento, e l’elenco del "cantuccio magico" oggi lo si può rappresentare anche con le sole dita di una mano.

Dito numero uno: Marco Carrai, storico amico di Renzi, l’uomo che ha permesso al sindaco di Firenze di avere canali di collegamento importanti sia con il mondo dell’establishment italiano sia con alcune importanti cancellerie internazionali (è stato Carrai a combinare l’incontro tra Merkel e Renzi ed è stato Carrai a costruire in questi anni ponti importanti con i democratici americani, dai Kennedy fino ai Clinton).

Dito numero due: Luca Lotti, giovane deputato del Pd (classe 82), ex capo di gabinetto del sindaco al comune, braccio operativo del renzismo, portavoce del verbo renziano nella corrente non corrente dei renziani e, di fatto, capo dell’organizzazione della macchina di Renzi.

Dito numero tre: Maria Elena Boschi, giovane deputata del Pd (classe 1981), avvocato, già capo dei comitati di Renzi alle primarie e altro volto chiave dell’organizzazione della macchina delle primarie.

Dito numero quattro: Graziano Delrio, ex sindaco di Reggio, ex presidente Anci, oggi ministro degli Affari regionali, gran consigliere di Renzi (che Delrio chiama Mosè) e unico volto estraneo al giro fiorentino di cui il sindaco si fida ciecamente. Dito numero cinque: Dario Nardella, ex vicesindaco di Firenze, oggi deputato del Pd, politico ben inserito negli ambienti quirinalizi (amico di vecchia data di Giovanni Matteoli, consigliere politico di Napolitano e oggi portavoce) e volto super trasversale del renzismo sia di lotta sia di governo. Cinque dita. Cinque volti chiave. Cinque pilastri del renzismo. Ai quali, a partire da questa campagna elettorale, e a partire dalla prossima Leopolda, il sindaco di Firenze dovrà aggiungere però altri volti utili a riempire la sua panchina, e a scongiurare nuovi esoneri.

Al momento, lì a bordo a campo, un posto d’onore ce l’ha il segretario regionale dell’Emilia Romagna Stefano Bonaccini, da poco nominato coordinatore nazionale della campagna di Matteo Renzi per il congresso.

Un ruolo di coordinamento che però ha un peso più dal punto di vista simbolico che dal punto di vista pratico, considerando che l’ex bersaniano Bonaccini alla fine prenderà nei fatti il posto avuto durante l’ultima campagna elettorale da Roberto Reggi e non avrà modo di avvicinarsi più di tanto alla stanza dei bottoni del sindaco di Firenze (dato curioso: Bonaccini, così come Reggi e come Richetti, arriva a Renzi dopo essersi avvicinato a Letta, e nella scelta di puntare su Bonaccini si indovina anche quello che è uno degli obiettivi di Renzi: appoggiare formalmente il presidente del Consiglio, almeno fino alla fine del congresso, ma contemporaneamente sfilargli da sotto i piedi, partendo dal territorio, il maggior numero possibile di referenti politici).

"Durante la nostra prima Leopolda – racconta un renziano che da anni gira attorno al mondo del cantuccio magico – uno dei video con cui Matteo e Pippo presentarono la nostra convention era tratto da una scena di "Boris", la mitica serie tv in cui Francesco Pannofino si trovava nei panni di un regista alle prese con le riprese di una fiction un po’ scombinata. Fino a oggi, la squadra che ha lavorato con Matteo, pur essendo formata da persone molto valide, ha però lavorato spesso con la tecnica dello ‘smarmella tutto’ (grido di battaglia con cui uno dei protagonisti di "Boris", Duccio, ordinava al tecnico delle luci, Biascica, di nascondere le imperfezioni presenti sulla scena dando potenza massima ai riflettori, ndr). Oggi, evidentemente, siamo in un passaggio in cui non si può più scherzare. A Matteo serve una squadra nuova, competitiva, capillare, preparata, competente. E il fatto che in questi anni non sia riuscito a crearne una all’altezza delle aspettative non è purtroppo un punto a suo favore".

Tra i tecnici della luce, per così dire, che ogni tanto provano ad attenuare l’effetto "smarmella tutto" ci sono alcuni amici di Renzi che ogni tanto offrono al sindaco consigli preziosi. Amici come il regista Fausto Brizzi, lo scrittore Alessandro Baricco, il produttore Antonio Campo Dall’Orto, l’imprenditore Oscar Farinetti (che ora sogna di buttarsi in politica, magari candidandosi alle prossime regionali in Piemonte), l’economista, e deputato Pd, Yoram Gutgeld, il professor Francesco Giavazzi (da cui Renzi ogni tanto prende ripetizioni di economia, e con cui il sindaco ha passato alcune ore poco prima di andare in Germania dalla Merkel, per arrivare preparato all’incontro).

Ma oltre a questi nomi vi è soprattutto un gruppo di persone che sta lavorando più intensamente delle altre alla mozione congressuale del sindaco.

Due in particolare: le stesse che nel 2008 avevano già scritto il famoso discorso del Lingotto di Veltroni e che in questi giorni sono state coinvolte più delle altre da Renzi per scrivere il suo Lingotto, quello che il sindaco farà sabato prossimo a Bari. Da un lato c’è Giorgio Tonini e dall’altro c’è Enrico Morando. E in un certo senso si può dire che per avere un’idea di cosa dirà il sindaco sabato a Bari potrebbe essere sufficiente dare una ripassata al libro di Morando e Tonini, che Renzi ha presentato un mese fa con Veltroni a Roma, sull’Italia dei democratici. Morando e Tonini, pur essendo più coinvolti degli altri nell’operazione conquista del Pd, sono però sempre due piccole stelle della galassia renziana. Due stelle molto distanti, anche fisicamente, dal pianeta Renzi.

E alla fine, anche in questa campagna elettorale, il punto interessante è che tutti coloro che hanno contribuito a dare una mano al sindaco si trovano ancora una volta disorientati, appesi a un filo: come se il sindaco non volesse tenere nessuno troppo vicino a sé. "Il problema – dice al Foglio un altro caro amico di Renzi – è che spesso Matteo non riesce a fare quello che dice da una vita. Il bravo capo, dice lui, è quello che mette attorno a se decine e decine di persone più brave di lui. Oggi attorno a Matteo ci sono persone molto brave che però sanno che per essere apprezzate non possono avere eccessive alzate d’ingegno e non devono mai esagerare con l’esposizione mediatica. E’ un limite del renzismo, se così si può dire, ed è per questo che, tranne rari casi, attorno a Matteo ci sono, più che grandi professionisti della politica, gli amici storici, le persone di cui si fida. Ed evidentemente questo non può bastare per conquistare il paese".

Finora, in effetti, la scelta di Renzi è sempre stata quella di costruire la sua squadra puntando più sui legami individuali, costruendo i suoi rapporti con il modello juke-box e appoggiandosi su una persona o su un’altra a seconda delle esigenze e delle necessità (ora, per esempio, la persona a cui Renzi si appoggia di più è Michele Emiliano, sindaco di Bari, testa d’ariete attraverso la quale il sindaco di Firenze da sabato prossimo proverà a conquistare il sud). Ma la rete di Renzi, come si dice in questi casi, non si può dire sia strutturata: è capillare ma virtuale, ricca ma fragile, estesa ma non organizzata. Renzi lo sa, in parte è anche una scelta, ma sa anche che per scalare il partito, resistere alle larghe intese e mettere le radici nel Pd (e difendersi dai compagni di scuola ex Pci) dovrà cambiare registro e inventarsi qualcosa in più anche rispetto alla rete dei sindaci che il Rottamatore metterà in campo il 25 ottobre a Firenze, durante la Leopolda (e che sarà una rete particolarmente imponente anche grazie al fatto che proprio quel giorno, proprio a Firenze, alla Fortezza da Basso, l’Anci ha organizzato la sua trentesima Assemblea annuale). I sindaci. Gli amici. Un po’ di deputati. Un po’ di consiglieri.

Basta questo?

"La parola leadership – ha detto tre giorni fa Renzi a Massimo Gramellini sulla Stampa – non è una parolaccia. C’è una sinistra che rifiuta l’idea dell’uomo solo al comando. Fausto Coppi. Ma in un gruppo ci vuole sempre quello che si alza sui pedali. Un leader è uno che sceglie persone più brave di lui". L’uomo troppo solo al comando è un tabù che la sinistra deve imparare a combattere, e non ci piove. Ma la storia delle panchine di Renzi ci dice anche altro. E ci dice, per esempio, che se Renzi vuole insegnare alla sinistra a non aver paura dell’uomo solo al comando come prima cosa deve dimostrare che il leader in pectore della sinistra ha davvero trovato un modo per curare la sindrome Zamparini e, molto semplicemente, non smarmellare più.

Iscriviti al nostro canale Whatsapp e rimani aggiornato.
Vuoi leggere BergamoNews senza pubblicità?   Abbonati!
leggi anche
Matteo Renzi
Politica
Matteo Renzi paragona i dirigenti del Pd all’Albinoleffe
Matteo Renzi
Politica
Matteo Renzi sfida il Pdl: “Se andiamo alle elezioni, li asfalteremo”
Giorgio Gori
L'intervista
Gori: “Anche a Bergamo centri innovativi per condividere start up”
commenta

NEWSLETTER

Notizie e approfondimenti quotidiani sulla tua città.

ISCRIVITI