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A lampedusa

Il Papa incontra i migranti e scuote le coscienze: ‘Chi non piange per loro?’

Il primo viaggio di papa Francesco fuori dal Vaticano ha come meta Lampedusa, l'isola più a Sud d'Europa e porta d'accesso al Vecchio Continente per tanti migranti. Chiede scusa a nome della Chiesa, dell'Italia, dell'Europa e anche per quei "politici arroganti e razzisti"

di Pier Giuseppe Accornero

«Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo? Per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie?».

Le domande incalzanti di Papa Francesco da Lampedusa devono giungere al cuore di tutti, italiani ed europei, politici e cittadini, credenti e non, cristiani e musulmani.

È un salutare esame di coscienza per tutti quello che si leva dalla piccola isola, «porta d’Europa». Domande che attualizzano il racconto biblico. «Adamo, dove sei?» chiede Dio all’uomo dopo il primo peccato. «Caino, dov’è tuo fratello?» chiede Dio all’uomo dopo il primo omicidio.

Papa Francesco constata amaramente: «Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con” in questa globalizzazione dell’indifferenza. Erode ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone. Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada a drammi come questo».

Al campo sportivo Arena è accolto dalla folla al grido «Si vede, si sente, Francesco è qui presente». L’emozione è altissima.

La gente è arrivata con i traghetti e gli aerei. Sul palco l’altare colorato fatto con una lancia di pescatori e il leggio ricavato da un timone di un barcone affondato, come il pastorale e il calice. Tutto realizzato da artigiani locali. E Papa Francesco ha voluto partire proprio da Lampedusa, isola-simbolo, prima di ogni altro viaggio: a Rio de Janeiro per la Giornata mondiale della gioventù (22-29 luglio), poi Cagliari (22 settembre), Assisi (4 ottobre).

Gli immigrati morti in mare sono «come una spina nel cuore, che deve provocare la coscienza di tutti per cambiare concretamente certi atteggiamenti. Da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte». Confida: «Quando alcune settimane fa ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho sentito che dovevo venire qui a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta».

Dice «una parola di sincera gratitudine e di incoraggiamento» agli abitanti di Lampedusa e Linosa, alle associazioni, ai volontari e alle forze di sicurezza, «che hanno mostrato e mostrate attenzione a persone nel loro viaggio verso qualcosa di migliore». Il pensiero va «ai cari immigrati musulmani che stanno iniziando il digiuno di Ramadan: la Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie».

L’omelia del primo viaggio da Papa ha i toni della forte denuncia: «La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro… Ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni perché la globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto. Chiediamo perdono per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle, ti chiediamo perdono per chi si è accomodato, si è chiuso nel proprio benessere che porta all’anestesia del cuore, ti chiediamo perdono per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi».

Le due domande di Dio – «Adamo, dove sei?» e «Caino, dov’è tuo fratello?» -«risuonano anche oggi, con tutta la loro forza. Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito». Anche oggi Dio chiede a ciascuno «Dov’è il sangue di tuo fratello che grida fino a me? Oggi nessuno si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna. Chi è il responsabile del sangue di questi nostri fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, non c’entro, saranno altri, non certo io. La domanda “Dov’è tuo fratello?” non è rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi. Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, accoglienza, solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio».

Nella grande liturgia penitenziale Papa Francesco chiede perdono per la Chiesa, per l’Italia e l’Europa e anche per quei politici arroganti e razzisti, «per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle, per chi si è accomodato, si è chiuso nel proprio benessere che porta all’anestesia del cuore e per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi» Chiede più volte «Ciò che accaduto non si ripeta, per favore». Rivolgendosi agli immigrati musulmani dice a braccio: «O‘ Scià», un intercalare tipico dei lampedusani che significa «Sei il mio respiro».

E poi: «Ho sentito recentemente uno di questi fratelli. Prima di arrivare qui sono passati tra le mani dei trafficanti che sfruttano la povertà degli altri per farne fonte di guadagno. Quanto hanno sofferto, ed alcuni non sono riusciti ad arrivare».

«Un grido forte contro l’indifferenza. Ora tocca ai politici riflettere sulle parole del Papa e tenerne conto» commenta mons. Franco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, presidente della Commissione episcopale per le migrazioni e di «Migrantes». Sintetizza quanto auspicato da molte parti sull’incivile e abominevole legge Bossi-Fini, icona del ventennio berlusconiano-leghista: «È una legge da rivedere, una legge che è una gabbia. Dobbiamo smettere di pensare alle migrazioni come a una emergenza. È uno stato di fatto, una normalità da accettare. E riguarda anche tanti siciliani e italiani che emigrano. Se si adotta questa lente le cose dovranno cambiare. Spetta ai politici riflettere e tenerne conto».

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