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La recensione

Silenzi, emozioni e ricordi nell’opera di Malick “To the Wonder”

"I film di questo regista sono per alpinisti della solitudine" scrive Pap, il critico cinematografico di Bergamonews che spiega l'ultima fatica del regista Terrence Malick: "Dedicato a tutti coloro che nel silenzio di un’immagine avvertono l’emozione e il ricordo della propria fede, qualsiasi essa sia".

Titolo: To the Wonder;

Regia: Terrence Malick;

Genere: drammatico;

Durata: 112’;

Attori: Ben Affleck, Olga Kurylenko, Rachel McAdams, Javier Bardem, Tatiana Chiline;

Voto: sette/otto;

Attualmente in visione: Capitol Bergamo.

 

Marina e Neil s’innamorano a Parigi, si riempiono di immagini ed emozioni meravigliose in una spettrale Mont Saint Michel e si afflosciano negli Usa, nel vuoto americano dell’Oklahoma. Sono i protagonisti di una vita ordinaria, struggente quanto totalmente normale. Nella cittadina statunitense il terzo personaggio del film è padre Quintana, un prete alla ricerca della fede, dispensatore di parabole il giorno ma in preda al panico dei dubbi la notte.

I due innamorati si cercano, si abbandonano, si raccontano favole con gli occhi e quasi nulla con le parole ma il calendario dell’amore virtuale non regge. Ci vuole di più. Ci vuole qualcosa. Ve lo scrivo subito.

Per vedere questo film ci vogliono tanti ingredienti. Il primo è quello del delirio, quello positivo, c’è, c’è, non fate facce strane. È quello stato mentale che vi permette di accettare quello che state vedendo al di là del giudizio, che verrà, forse.

I film di questo regista sono per alpinisti della solitudine, servono per soffrire, disorientano per tanta volontarietà di non raccontare trama. Le sfumature di un cammino nel mondo uno, se vuole coglierle s’impegna. Per pochi, c’è il privilegio intriso di sofisticata sofferenza, di assaporare questo minimalismo in modo naturale. Un corso d’acqua è l’inesorabilità ma anche miliardi di molecole di idrogeno e ossigeno che vanno dove gli pare. Dipende dalla propria sensibilità. Senza dare giudizi morali e tanto meno sentenze. Sia chiaro.

Pur con qualche avvitamento di troppo il film mi sembra un esempio straordinario di magia cinematografica. Non sarà il supremo capolavoro di Malick, non darà spiegazioni (ma chissà mai perché, un film dovrebbe fornirci chiarimenti in due ore di quello che non riusciamo a carpire da una vita…), non trascinerà il pubblico in estasi mistiche ma chi vorrà calarsi per un momento in una sincera coscienza del bello non potrà che sentirsi affascinato da quest’opera.

Pochissime parole con dialoghi di quotidiana inutilità e voce off che descrive le singole verità. Quante volte ci capita? Perché l’amore dei due ragazzi non decolla né a Parigi né in Oklahoma? Perché insoddisfatti di se stessi. Per prima cosa. E a nulla vale il cambio di latitudine. Il prete è forse la figura più espressiva, per l’ossessiva ricerca di una fede lontana dal bisogno oggettivo di tutti coloro che soffrono e vorrebbero la formula magica del ritorno alla vita.

Ma se la fede è carne e terra, come sembra chiaro alla moltitudine di carcerati, disadattati, ammalati, anziani, dov’è il limite umano?

È la ricerca in sè che ci può salvare o per forza bisogna arrivare al traguardo e poi si vedrà?

Dedicato a tutti coloro che nel silenzio di un’immagine avvertono l’emozione e il ricordo della propria fede, qualsiasi essa sia.

Pap

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