E’ quando il coro delle penne nere attacca "Il Signore delle Cime" che il silenzio diventa come un salto nel vuoto, comprensibile solo a chi ha fede e ha vissuto lo spirito degli alpini.
Nel crescendo musicale, pari solo alle balze delle montagna, quando recita: "Dio del cielo, Signore delle cime, un nostro amico hai chiesto alla montagna. Ma ti preghiamo: su nel paradiso, lascialo andare per le tue montagne" che gli alpini con il cappello in mano venuti a salutare il loro presidente Nardo Caprioli, si sfregano gli occhi e la chiesa della Grazie che si affaccia su Porta Nuova, il cuore della città, pare in cima ad una vetta. Senti persino l’aria fredda che taglia la faccia, la nebbia che sale e quel silenzio che spesso si cerca e che pare infinito. Alla fine ci sono attimi di sospensione. Le lacrime, la pelle d’oca, la commozione si sciolgono e scatta un applauso. Si chiude così la cerimonia, che seppur solenne è sobria, in pieno stile Caprioli.
I gagliardetti verdi, i cappelli di feltro, le penne, le camicie a quadretti: l’esercito pacifico degli alpini ha dato risposto compatto per dare l’ultimi saluto al vecchio Nardo. Gli alpini non dicono mai: è morto, è andato avanti. Lo ricorda il figlio Piergiorgio: "Mi hai insegnato: pensa con la tua testa, dì quello che pensi, fai quello che dici".
Che Nardo Caprioli fosse di poche parole, non è un mistero. Lo ricorda anche monsignor Gaetano Bonicelli, già arcivescovo di Siena e Ordinario militare per l’Italia negli stessi anni in cui Caprioli guidava l’Ana: "trasformandola da un corpo d’arma a un grande esercito di volontariato". Nell’omelia monsignor Bonicelli rammenta come delle otto beatidutini del discorso della Montagna – poteva essere diversamente per onorare un alpino? – tratto dal capitolo 5 del Vangelo di San Matteo, la più adatta per Caprioli sia la mitezza. O forse calza ancora meglio "beati gli operatori di pace, perchè saranno chiamati figli di Dio". "In fondo Nardo ha compiuto una grande rivoluzione – sottoliena Bonicelli – ha trasformato gli alpini dando loro un nuovo volto, un nuovo ruolo. Da gente scanzonata li ha trasformati in persone impegnate a cui si pensa subito quando c’è bisogno di aiuto, di una mano operosa e sincera".
Monsignor Valentino Ottolini, parroco delle Grazie, aveva salutato all’inizio della messa tutti i fedeli ricordando come Caprioli e la sua famiglia fosse di casa nella chiesa che si affaccia su largo Porta Nuova. Gli squilli di tromba, il cappello in testa, i gagliardetti alzati quando si scatta sull’attenti nei momenti più solenni della celebrazione funebre hanno scandito l’addio religioso e civile a Nardo Caprioli. Ma è fuori dalla chiesa che Bergamo si ferma. E’ l’intera città che in silenzio vuole salutare il vecchio alpino reduce dalla ritirata di Russia. Alle 14.45 il traffico si blocca su viale Papa Giovanni, le persone sedute ai tavolini si alzano, i muratori dai cantieri si fermano e osservano silenziosi quella marcia, l’un-due degli alpini. Un esercito di uomini attempati ma dal passo fermo e dallo sguardo sincero che non nasconde la tristezza del momento. Quanti sono? Migliaia. Venuti da ogni dove. I guanti bianchi per reggere gagliardetti delle molte sezioni degli alpini sparse lungo lo Stivale.
Ad accogliere la salma di Caprioli all’ingresso di viale Papa Giovanni c’è il sindaco Franco Tentorio: "E’ un momento di dolore per l’intera città, non solamente per gli alpini. Oggi rendiamo omaggio ad un grande uomo, un grande bergamasco". Accanto al primo cittadino il vicesindaco Gianfranco Ceci con il cappello d’alpino, l’assessore Alessio Saltarelli e l’assessore provinciale alla Protezione Civile Fausto Carrara. In chiesa c’è anche il presidente di Ubi Banca Andrea Moltrasio. E’ il pomeriggio di una giornata calda di luglio, eppure c’è il silenzio della montagna, e quel coro alpino che rammenta la brezza di un brivido che attraversa il cuore di tutte le penne nere.
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