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La recensione

“Il caso Kerenes” interessa, coinvolge, piace Opera intensa e compiuta

La realtà della Romania posto Ceausescu fa da sfondo a “Il caso Kerenes” di Calin Netzer: il film, vincitore del Leone d’Oro a Berlino è tutt’altro che un mattone. Interessa, coinvolge, piace e il merito va soprattutto alla straordinaria interpretazione di Luminita Gheorghiu.

Titolo: Il caso Kerenes;

Regia: Calin Netzer;

Titolo originale: Pozitia Copilului;

Genere: drammatico;

Durata: 112’;

Attori: Luminita Gheorghiu, Bogdan Dumitrache, Natasa Raab, Florin Zamfirescu, Vlad Ivanov, Ilinca Goia;

Voto: sette;

Attualmente in visione: Conca Verde Bergamo.

Cornelia è una madre sessantenne che nella vita è dedita a due scopi: il primo è trascorrere le giornate occupandosi degli affari degli altri, sempre con la sigaretta in mano. Il secondo è invadere senza ritegno l’esistenza del figlio ultratrentenne Barbu. Asfissiante ed ingombrante presenza fino all’ossessione morbosa di controllare tutto quello che riguarda l’unico figlio, dalla compagna convivente indegna allo status del bamboccione al libro regalato e puntualmente non letto, relegato alla perenne sistemazione sul comodino. Cornelia appartiene alla borghesia rumena, circondata da simili che sfruttano la posizione sociale ed il portafoglio come rimedio a qualsiasi cosa. Sullo sfondo la realtà della Romania, ventiquattro anni dopo la morte del dittatore Ceausescu ma ancora intrisa d’incertezza sociale e di corruzione.

Durante una rappresentazione lirica arriva la notizia che sconvolgerà la finta famiglia. Barbu è il protagonista negativo di un incidente stradale dove muore un ragazzo di quattordici anni. Da questo momento Cornelia, coadiuvata da una serie di personaggi a lei vicini e affini, cerca di sistemare la sporca faccenda attraverso le solite modalità, mazzette e conoscenze importanti. Dai poliziotti al testimone dell’incidente fino alla famiglia della vittima. Nella casa rurale dei poveri genitori non c’è più spazio per la recita e la verità esplode in tutta la sua drammatica concretezza.

Non capita spesso ma a volte i film che vincono l’Orso d’Oro a Berlino sono tutt’altro che mattoni. Meglio. Il caso Kerenes è un mattone che ti arriva dritto in testa e ti interessa, coinvolge, piace. Il lungometraggio trionfatore alla Berlinale è l’esempio di cosa può fare una normalissima regia dotata di mezzi paragonabili a quelli che tutta l’Italia ha nei cassetti di casa, quando c’è da raccontare una storia, una trama, un senso. La scrittura e la recitazione sostengono senza intervalli e cadute d’interesse tutto il film, drammatico, intenso e amabilmente “normale”. Che godimento osservare finalmente una scena dove l’inquadratura non stacca dopo due decimi di secondo e riesce ad evidenziare ed esaltare dialoghi non trascendentali, ma resi importanti dall’abc della regia.

La protagonista regge con straordinaria abilità tutti i 112 minuti, tentando disperatamente di entrare in empatia con gli altri personaggi e inconsapevolmente con gli spettatori di mezzo mondo. Nulla da fare, troppo manipolatrice. Un’antipatia congenita costruita sui resti di un marito ancor prima del figlio, consapevole vittima di una macchina da guerra munita di bustarelle che riescono a far breccia senza troppe resistenze in una Romania ancora incerta sulla strada da percorrere. Capita spesso quando ti si sbatte in faccia la libertà senza avvisarti che la democrazia non si può imporre e costa cara, per certi versi proporzionalmente alla dittatura.

La psicanalisi si impossessa della macchina da presa, scrutando la diabolica capacità della madre di amare il figlio fino a limitarne la vita. La figura materna può avere l’identica potenza sia nel bene che nel male. Cornelia è incapace di recidere il cordone ombelicale continuando a dirigere i fili del burattino che reagisce in modo parziale perché le comodità sono apprezzate da tutti e soprattutto perché dobbiamo ammettere che affrontare un problema spesso risulta faticoso. Lo si evita fino a quando si presenta il burrone ad un centimetro e l’unica soluzione è fuggire.

La madre troverà il suo precipizio davanti alla sconvolgente sincerità dei genitori del figlio ammazzato dalla lussuosa velocità di Barbu. I figli morti in realtà sono due.

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