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Chiesa

La fede, l’impegno sociale e la lotta alla mafia: don Puglisi diventerà beato

Sabato 25 maggio a Palermo il martire della mafia, don Pino Puglisi, sarà proclamato beato. Don Puglisi era stato freddato il 15 settembre 1993 nel giorno del suo 56° compleanno.

di Pier Giuseppe Accornero 

"Nel passato la Chiesa era considerata sacra e intoccabile. Ora invece Cosa nostra sta attaccando anche la Chiesa perché si sta esprimendo contro la mafia. Gli uomini d’onore mandano messaggi chiari ai sacerdoti: non interferite".

Era il 25 agosto 1993 quando un uomo di mafia, pentito e diventato collaboratore di giustizia, raccontava queste cose a un magistrato. Venticinque giorni dopo, il 15 settembre 1993, un giovane killer spara davanti al portone di casa a don Giuseppe Puglisi nel giorno del suo 56° compleanno. Vent’anni dopo, sabato 25 maggio 2013 a Palermo il martire della mafia, ucciso in odio alla fede, sarà proclamato beato.

Personaggio di spessore, strappava a colpi di Vangelo i giovani alla mafia. La mafia gli ha strappato la vita ma ha fallito nel tentativo di estirpare il seme di bene, di dignità, di civiltà e di legalità che ha piantato nel cuore di Palermo, della Sicilia e dell’Italia. La sua testimonianza sopravvive e porta frutti di bene e di legalità.

L’Agenzia nazionale per i beni confiscati ha assegnato un terreno di 11 mila metri quadrati, sequestrati a un impresario vicino ai boss di Brancaccio, per costruire strutture per i giovani, come lui sognava.

Giuseppe Puglisi nasce nel quartiere Brancaccio il 15 settembre 1937 da una famiglia modesta: il padre era calzolaio, la madre sarta. A 16 anni, nel 1953 entra nel Seminario ed è ordinato sacerdote il 2 luglio 1960 dall’arcivescovo cardinale Ernesto Ruffini, uno che non brillava per impegno antimafia, anzi diceva che la mafia non esiste.

Don Pino fa molte esperienze pastorali: nel 1961 vicario cooperatore della parrocchia Santissimo Salvatore nella borgata Settecannoli; rettore della chiesa San Giovanni dei lebbrosi; cappellano all’orfanotrofio Roosevelt e vicario della parrocchia Maria Assunta a Valdesi. Segue con attenzione i lavori del Concilio (1962-1965) e si entusiasma per le sue riforme: rinnovamento liturgico, ruolo dei laici, ecumenismo, rilancio della Chiesa locale.

Il 1° ottobre 1970 è nominato parroco di Godrano, in provincia di palermo, segnato da una sanguinosa faida tra clan mafiosi: vi rimane fino al 31 luglio 1978. La sua attività è rivolta particolarmente ai giovani e ai problemi sociali perché la comunità cristiana assuma i problemi della società; segue le battaglie dei quartieri; si convince del ruolo centrale della questione giovanile in sintonia con gli impegnativi incarichi che riceve: pro-rettore del Seminario minore, direttore del Centro vocazioni. Agli studenti e ai giovani si dedica con passione.

Docente di matematica e poi di religione, dal 1978 al ’93 insegna nel liceo classico Vittorio Emanuele II di Palermo. Si occupa della "Casa Madonna dell’accoglienza" dell’"Opera cardinale Ruffini" in favore di giovani donne e ragazze-madri in difficoltà. Segue numerosi movimenti: Azione Cattolica, Fuci, Equipes Notre Dame, Presenza del Vangelo.

Il 29 settembre 1990 è nominato parroco a San Gaetano a Brancaccio e nel 1992 direttore spirituale del Seminario arcivescovile. Il quartiere è controllato dalla criminalità organizzata dei fratelli Graviano, capimafia legati al boss Leoluca Bagarella. Don Pino fa capire ai ragazzi che si può ottenere rispetto dagli altri anche senza essere criminali, ma per le proprie idee e i propri valori. Toglie dalla strada i giovani che, senza il suo aiuto, sarebbero finiti tra le fauci della bestia; impedisce che compiano rapinette e scippi, spaccino droga, entrino nelle cosche.

Il 29 gennaio 1993 inaugura a Brancaccio il "Centro Padre nostro" proponendo ai giovani del quartiere strade alternative alla criminalità, smascherando Cosa nostra e mostrandone il volto violento e disumano. Le sue omelie invitano i mafiosi alla conversione. Facilitando il recupero dei giovani riafferma nel quartiere una cultura della legalità illuminata dalla fede. Questa strategia spiazza e infastidisce i boss che lo considerano un ostacolo. Così decidono di farlo fuori, dopo una lunga serie di minacce di morte di cui don Pino non parlò con nessuno. Come ricostruirono le inchieste canoniche, la sua strategia pastorale-educativa costituisce il movente dell’omicidio, i cui esecutori e mandanti sono stati arrestati e condannati.

Il suo giovane killer, Salvatore Grigoli, reo confesso e pentito, racconterà che il 15 settembre 1993, prima di essere crivellato di colpi, don Pino gli sorrise e mormorò: "Me l’aspettavo". Esecuzione che aveva previsto perché interferiva con gli affari sporchi dei mafiosi. Due anni prima aveva affermato: "Siamo testimoni della speranza. La testimonianza cristiana va incontro a difficoltà, una testimonianza che diventa martirio".

In suo ricordo, scuole, centri sociali, strutture sportive, strade e piazze gli vengono intitolati a Palermo, in Sicilia e in Italia. In Congo un orfanotrofio porta il suo nome. Dal 1994 in diocesi di Palermo il 15 settembre segna l’apertura dell’anno pastorale.

Due anni dopo, il terzo convegno nazionale della Chiesa italiana si tiene a Palermo: nel novembre 1995 quasi duemila delegati da tutta Italia riflettono sul tema "Il Vangelo della carità per una nuova società in Italia".

In quella occasione si organizzarono "incontri con la città di Palermo": a bordo di una nave; in una palestra del quartiere Borgonovo; nel poverissimo quartiere Zen; all’Istituto don Orione; nel quartiere Brancaccio, dentro un deposito di autobus, per richiamare i problemi del degrado, della disoccupazione, della mafia sui quali si era impegnato il prete martire.

Il 3 ottobre 2010, in visita a Palermo, Benedetto XVI parla di questo campione della fede: "Aveva un cuore che ardeva di autentica carità pastorale: nel suo zelante ministero ha dato largo spazio all’educazione dei ragazzi e dei giovani e si è adoperato perché ogni famiglia vivesse la fondamentale vocazione di prima educatrice della fede dei figli. Il popolo affidato alle sue cure ha potuto abbeverarsi alla ricchezza spirituale di questo buon pastore. Chi è saldamente fondato sulla fede, chi ha piena fiducia in Dio e vive nella Chiesa, è capace di portare la forza dirompente del Vangelo. Vi esorto a conservare viva memoria della sua testimonianza imitandone l’eroico esempio".

Ai giovani aggiunge: "Conosco le vostre difficoltà nell’attuale contesto sociale, che sono le difficoltà dei giovani e delle famiglie di oggi. Conosco anche l’impegno con cui cercate di reagire e di affrontare questi problemi, affiancati dai vostri sacerdoti, che sono per voi autentici padri e fratelli nella fede, come è stato don Puglisi".

Per la beatificazione al prete simbolo della coerenza evangelica e della lotta alla mafia viene dedicata la nuova chiesa del quartiere e nuovi locali per i giovani, un progetto scoperto dopo la morte, strutture che daranno ossigeno a una comunità di 10 mila persone in continua espansione.

Sulla sua tomba è scolpita la frase di Gesù: "Non c’è amore più grande che dare la vita per i propri amici".

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