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La lettera

“Io, giovane bergamasca di sinistra tentata da Grillo e poi delusa”

Pubblichiamo la lettera firmata di una giovane bergamasca che esprime tutta la propria delusione per la situazione politica italiana e si “pente” di aver ceduto alla tentazione di Beppe Grillo, assegnando il proprio voto per il Senato al Movimento 5 Stelle.

Pubblichiamo la lettera di una giovane bergamasca che esprime tutta la propria delusione per la situazione politica italiana e si “pente” di aver ceduto alla tentazione di Beppe Grillo, assegnando il proprio voto per il Senato al Movimento 5 Stelle.

Gentile direttore,

le scrivo questa lettera per condividere pensieri e riflessioni sui fatti politici, s(c)acco contemporaneo alla Caput Mundi. Un tempo erano le orde di barbari a piegare e vessare la Capitale, nei secoli gli italiani hanno elaborato la capacità di gestire tutto questo a livello intestino. Involuzione storica davvero notevole.

La rabbia e il cordoglio di oggi nascono lontano: emozione e speranza si riaccesero la sera in cui Berlusconi salì al colle per rassegnare le proprie dimissioni, ormai quasi un anno e mezzo fa. Un senso di liberazione permeava la stanza dove sguardi incollati al video vedevano Mr. Bunga Bunga ridotto al buen ritiro.

Arrivò il governo tecnico. Con esso l’ondata di tasse e privazioni. Austerity e rigore venivano sbandierate come necessità e ultime chance per un Paese sull’orlo del tracollo. A dispetto delle tanto declamate agenzie di rating, era sconvolgentemente evidente la miopia di una politica tutta attenta a re-frenare slanci e prospettive, solo intenta a “regolare i conti” senza paventare il seppure minimo bisogno di alzare lo sguardo, anche di poco, e pensare e provare ad aprire il proprio visus spingendo l’orizzonte anche solo un po’ più in là.

È stato necessario attendere che voci d’Oltralpe ufficializzassero l’insufficienza delle politiche di rigore e ribadissero il must delle politiche di sviluppo per rendersi conto del grossolano errore. Sic. Incredibilmente lampante, evidentemente ignorato. Molto più semplice spremere la sempre più sottile “classe media”, quella che forma lo strato della micro imprenditoria italiana, molto più semplice alzare l’IVA e infliggere l’IMU. La delusione del governo Monti è stata eclatante: non solo per lo schiaffo ai redditi degli italiani, ma perché non ha saputo e non ha voluto, riformare i privilegi della classe politica, non ha attuato una patrimoniale in senso proprio, non si è occupato della legge elettorale.

E questo ce lo si aspettava per principio, per dignità, per morale e per giustizia. Né più, né meno.

Infine le elezioni di febbraio. Eclettismo di simboli, tanta incertezza, qualche spavalderia. Non nego i miei dubbi, le mie perplessità: al tradimento degli exit poll ho contribuito anche io. Nell’urna ancora titubavo: non avrei votato a destra, ma la tentazione di Grillo lateva da settimane e pure il non convincimento per il PD. La scheda regionale è stata immediata: Ambrosoli presidente. Ma per Roma? Non era solo una questione di turarsi il naso, qui gli olezzi erano molto, molto più ammorbanti. Ho siglato PD per la Camera, con rabbia.

Dispiegata la scheda del Senato la domanda è insorta: avrei avuto lo stesso vile coraggio di dare ancora il mio voto al PD? Partito che per quanto a sinistra, mi è sempre parso fragile, poco radicato, troppo antiberlusconiano tanto da avere, a mio avviso, nel suo antagonista buona parte del suo DNA. Mettere un’altra croce pro PD avrebbe significato scatenare iracondi effluvi e allora… ho siglato Grillo. Subito un senso di vergogna mi ha assalito. Avevo ceduto al voto di protesta, protesta che se vogliamo era pure ovvia conseguenza del carrozzone politico dei nostri giorni, ma comunque pur sempre un voto poco politico e molto emotivo.

Ho poi assistito impotente allo scorrere degli eventi: 60 giorni senza un governo, 10 saggi che sanciscono priorità talmente evidenti da sbigottire persino un bambino, 7 scrutini per rieleggere un Presidente della Repubblica quasi novantenne, incroci di razze politiche che neppure Mendel avrebbe azzardato. Intanto da Genova Grillo ha continuato ad urlare: loro non si sarebbero traditi, si sarebbero mossi “a vista” dando il loro consenso o dissenso a seconda delle decisioni da prendere, nessuna promiscuità era ammessa tra i ranghi grillini.

Grillo ha creato un movimento, ha dato una spinta propulsiva perché gente comune si compromettesse in affari politici, gente comune appunto, senza esperienza, non avvezza a questioni di palazzo e non ancora affine a logiche di potere.

E fin qui si poteva anche sperare in un ricambio generazionale. Coloro che da anni fanno politica per mestiere hanno già deluso a sufficienza, poteva valere allora la pena di aprire le porte ad energie nuove, non scorrette, di certo inesperte, ma pure talmente vilipese dagli affari romani da voler davvero provare a cambiare.

Utopia e orgoglio. Già, peccato che tutto questo sia stato impedito e in gran parte proprio da colui che l’aveva fomentato. Una volta ottenuto l’ingresso dei Cinque Stelle a Palazzo Chigi, l’attesa era che Grillo si facesse da parte, lasciasse che i suoi neo parlamentari si facessero le ossa, rappresentando per loro un elemento di coesione. I diktat continui lanciati dalla villa di Genova hanno fatto perdere la chance di iniziare a costituire un effettivo polo politico capace di dialogo e sinergie con l’altra forza politica in ballottaggio: il PD.

Resta la rabbia, il cordoglio e pure lo sguardo torvo su un Paese che rimane sempre se stesso.

Ringrazio per l’attenzione,

Lettera firmata

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