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Bergamo

Il prossimo restyling dell’Accademia Carrara? In autorevolezza fotogallery

Nella questione dell'Accademia Carrara c'è bisogno non solo di un restyling museologico e architettonico, ma di un restyling di autorevolezza delle istituzioni oltre che di responsabilità degli organi di comunicazione.

“Bye Bye Signor Conte”. Sembra ieri quando il fotografo e visual designer Mario Cresci, già direttore della Scuola D’Arte dell’Accademia Carrara di Belle Arti (dal 1993 al 2000), dava vita a una simpatica performance site specific negli spazi della Pinacoteca Carrara alla vigilia dell’inizio dei lavori di restauro.

Era l’ottobre 2008, le sale della Pinacoteca sgombre, i muri denudati e il titolo del progetto – che dialogava con le tracce bianche lasciate dai quadri depositati ormai altrove – era un lieto arrivederci a breve alle collezioni del conte Carrara.

L’appuntamento, per il novembre 2010, è slittato invece alla metà 2012, in seguito all’estate 2013, fino ad arrivare agli ultimi annunci che prevedono la riapertura del rinnovato Museo la prossima primavera.

Anche i costi complessivi, inizialmente stimati in 5 milioni di euro, sono più che raddoppiati agli 11 milioni di oggi, in parte sostenuti dalla Fondazione Creberg.

Tanti gli imprevisti e incidenti di percorso, si è detto strutturali, organizzativi, gestionali, tecnici di vario ordine e grado.

Fatto sta che quello che doveva essere un cantiere di due anni si è allungato ben oltre i reiterati aggiornamenti di previsione e da quando Bergamo nel 2012 ha avanzato la propria candidatura a capitale europea della cultura per il 2019 le cose non sono andate meglio.

Tanto da far pensare a molti che anzi, per far spazio a spese nuove e a nuovi fronti, fatti di cantieri, sì, ma anche di agenzie di comunicazione, di studi di immagine e di tutto quell’apparato organizzativo che un’adeguata candidatura pare richiedere, appunto da tale dispiego di mezzi il versante Carrara – che è una delle fette nella “torta” cultura del Comune – non abbia tratto particolare giovamento.

E’ vero che lo scorso 22 marzo 2013 è stata annunciata la sospirata conclusione della “fase 1” di ristrutturazione edile e il lancio del bando pubblico di progettazione degli allestimenti, col contributo di 1,25 milioni di euro dalla Fondazione Creberg. Ma l’assessore Claudia Sartirani ha anche comunicato la quadruplicazione dei costi della Pinacoteca nella sua nuova veste, che a regime si aggireranno sui tre milioni e mezzo di euro annui a fronte dei 900 mila euro preventivati nel 2008.

L’assessore ha parlato di obiettivi ambiziosi e impegnativi, col coinvolgimento della città e dei privati, e di un maggior sforzo di conservazione per un riposizionamento del Museo a livello nazionale e internazionale.

Non necessariamente a spese straordinarie corrispondono risultati eccellenti – certo è ben presto adesso per giudicare ciò che ancora non ha preso forma – e l’importante non è strafare ma fare bene.

Il Museo è un’azienda del tutto particolare il cui prodotto primario è difficile da quantificare. Le logiche del marketing, l’obiettivo customer satisfaction, l’ipotesi manager per il rilancio (ipotesi a dire il vero solo ventilata da qualche esponente del Cda della Carrara), non possono prescindere dalla centralità della mission del Museo di raccolta e conservazione del patrimonio artistico, di crescita culturale della comunità, né dalla competenza e dalla credibilità scientifica dei responsabili della Pinacoteca.

A questo punto una proficua sinergia tra le più importanti gerarchie istituzionali è indispensabile per una convincente ripartenza di questo fiore all’occhiello delle raccolte nazionali.

E proprio su questo snodo si è innestata la bagarre dei giorni scorsi, montata dalla stampa con titoli a effetto – tra “strappi”, “spettri”, “allarmi rossi”, “effetti domino” – circa la richiesta di messa in mobilità da parte dell’attuale Conservatore della Pinacoteca Carrara, Giovanni Valagussa.

L’impressione è che da una richiesta di trasferimento che non è nemmeno la prima (Valagussa l’aveva avanzata già nell’estate di due anni fa senza suscitare particolare clamore) si sia voluto creare un caso, complice la tempistica delicata di queste settimane per la Pinacoteca, con l’imminenza di chiusura del cantiere edile, l’avvio della fase di allestimento museale e di progettazione scientifica, la consegna nelle mani del sindaco del documento con cui la Fondazione Credito Bergamasco denuncia inottemperanze e tardività riconducibili a Palazzo Frizzoni.

Non che le criticità manchino – le “divergenze di vedute nella gestione della Pinacoteca con il Direttore Maria Cristina Rodeschini” sono una dichiarazione messa nero su bianco dallo stesso Valagussa nella lettera protocollata in Comune e tra gli addetti ai lavori sono cosa già nota – ma per il Conservatore non si è trattato di dimissioni (la richiesta è ben diversa e il Comune potrebbe riservarsi, di nuovo, di non dare il placet di spostamento) ed inoltre i due ruoli, di Conservatore (Valagussa) e di Direttore (Rodeschini) sono gerarchicamente distinti e, sulla carta, perfettamente integrabili.

E’ dal 2001, dai tempi dell’ex Direttore e Dirigente Francesco Rossi, che Valagussa ricopre il ruolo di Conservatore della Pinacoteca, mentre Rodeschini è alla guida di Gamec e Accademia Carrara in qualità di Direttore e responsabile di Posizione Organizzativa (un ruolo che comporta anche responsabilità amministrative e di gestione, cui si accede per concorso); due figure quindi diversamente collocate che adesso qualcuno suggerisce anche di soppiantare con un “supercommissario” in vista della riapertura.

Il momento è dunque strategico e i nodi vengono al pettine sia da sé sia perché li si vuole amplificare.

Forse nella questione Carrara c’è bisogno non solo di un restyling museologico e architettonico, ma di un restyling di autorevolezza delle istituzioni oltre che di responsabilità degli organi di comunicazione. 

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