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L'intervista

Il sogno di Viscardi: un “medico” per assistere le piccole imprese

A un giorno dal termine del mandato Gianluigi Viscardi ripercorre la propria esperienza da presidente della Piccola Industria di Confindustria Bergamo: dalla nomina inaspettata ai traguardi raggiunti in un momento non facile per la realtà bergamasca.

“Non avrei mai detto che sarei diventato presidente della Piccola Industria, tanto è vero che, quando mi hanno eletto, non avevo preparato nemmeno il discorso”: l’avventura di Gianluigi Viscardi alla guida della "Piccola" di Confindustria Bergamo era iniziata così, quattro anni orsono, a metà tra la sorpresa e l’umiltà, e ora, a un giorno dal termine del mandato, è tempo di bilanci.

Sin dal primo giorno si è definito un “volontario del nostro territorio” e non è solo una definizione di facciata: con grande spirito di servizio si è messo a disposizione dell’Associazione che gli ha chiesto impegno totale a titolo completamente gratuito e gli ha affidato la mission di tenere alta la rappresentanza della “Piccola”. Una mission che ha portato a termine lavorando "a testa bassa" su tre grandi punti chiave: innovazione, valorizzazione degli intangibili e internazionalizzazione.

Come è iniziata la sua avventura in Confindustria?

“Il mio percorso nell’Associazione non è stata una ‘carriera’: ho conosciuto Confindustria per un problema di natura sindacale e da quel momento ho iniziato a capire cosa vuol dire lo spirito di servizio e il mettersi a disposizione del proprio territorio. Dal momento della nomina ho avuto grande sostegno, prima di tutto dai dipendenti della mia azienda (la Cosberg Spa ndr) e poi dalla presidenza, sia con Alberto Barcella che con Carlo Mazzoleni”.

Si è trovato a lavorare per la Piccola Industria in un momento non facile. Quali sono stati i primi temi sui quali ha posto l’attenzione?

“La prima cosa che ho lanciato insieme alla mia squadra è stato l’aiuto all’autovalutazione dell’imprenditore. Da qui è nato poi tutto un discorso sulla valorizzazione degli intangibili e sull’importanza per gli imprenditori di creare reti d’azienda basate sulla conoscenza”.

Una sorta di rivoluzione culturale in una realtà in cui non c’era, e forse non c’è tuttora, molta propensione al dialogo.

“Un processo non semplice e che non è ancora stato portato a termine: fondamentale in questo senso è stato aprire le aziende, perché permette di essere più credibili. Fare innovazione ma tenendo aperta l’azienda: non bisogna chiudersi in se stessi, bisogna saper valorizzare quello che si fa e saperne comunicare il valore. Sul territorio ci sono tantissime eccellenze, ma c’è ancora troppo timore nel farsi vedere mentre gli imprenditori dovrebbero affrontare insieme il mercato”.

Quali sono stati gli strumenti che avete messo in campo?

“Rimanendo nell’ottica della valorizzazione e della comunicazione mi viene in mente il Cruscotto aziendale, uno strumento che aiuta l’imprenditore ad autovalutarsi, ad essere trasparente e ad estrapolare il valore degli intangibili: capitale umano, relazionale e strutturale. Uno strumento dei più innovativi a livello nazionale. Inoltre insieme a Confindustria e Camera di Commercio abbiamo fatto un monitoraggio su un campione di 27 aziende che si sono fatte fare una sorta di check up che ha messo in evidenza risultati sconvolgenti dal punto di vista del valore intangibile”.

Negli ultimi due anni ha avuto la delega all’innovazione. Come si è mosso in questo campo?

“Anche qui ho lavorato molto per aiutare le imprese a conoscersi. L’iniziativa delle ‘2 ore in azienda’, che esisteva già, va a inserirsi proprio in quest’ottica: prima era impensabile che un’azienda aprisse le proprie porte ad altri imprenditori. Dal canto mio ho spinto nella direzione dell’innovazione sui brevetti e sulla proprietà intellettuale. Dal punto di vista dell’apertura dell’azienda è stato importante anche il progetto del Pmi Day che porta i ragazzi di terza media a visitare le nostre imprese: dobbiamo farci conoscere a tutti quelli che poi dovranno valutare il nostro operato, siano essi imprenditori, ragazzi, genitori o enti locali”.

Un altro tema importante, e sul quale si spingerà ancora con più forza in futuro, è quello legato all’internazionalizzazione.

“Parlare di internazionalizzazione è importante in questo momento perché se prima il raggio di una piccola impresa era di 50 chilometri oggi il mercato locale deve essere quello europeo. Il ruolo dell’Associazione in questo caso deve essere quello di aiutare l’imprenditore a capire tramite l’autovalutazione se ha il prodotto o la struttura aziendale giusta per andare all’estero: non dobbiamo illudere gli imprenditori dicendo che tutti sono in grado di andare oltre i confini”.

Tra i suoi incarichi c’è anche quello legato al consorzio Intellimech.

“E’ stata un’altra grande sfida: 24 piccole e medie imprese che si sono mettono insieme per fare ricerca dove la governance è industriale e la ricerca è universitaria. Per il territorio bergamasco era una novità: aiutare le piccole imprese ad affiancarsi nella ricerca ad altre più grandi e all’università. Questo percorso, sostenuto da Confindustria e Camera di Commercio dopo 6 anni è capofila a livello regionale e nazionale: abbiamo fatto ricerca perché ne avevamo bisogno ed è stato possibile grazie ad imprenditori che si sono messi insieme e hanno investito”.

Quindi la crisi qualcosa di buono l’ha prodotto?

“A me non piace parlare di crisi: per me la crisi può durare due o tre mesi al massimo. La realtà è che il mondo è cambiato. Chi si rassegna non la supera, invece chi ha reagito e ha ridisegnato l’azienda con nuove tecnologie e nuovi prodotti con alto valore aggiunto è riuscito a ripartire”.

C’è un problema che durante il suo mandato avrebbe voluto risolvere e che invece lascia in eredità al suo successore?

“Un problema credo di no: penso di aver avviato un percorso complesso che va portato avanti e ultimato. Ho però un sogno. Il mio sogno è che ogni imprenditore possa disporre di un ‘medico di base’, ovvero qualcuno di fiducia che abbia una visione a 360° e sia in grado per questo di indirizzarlo ai vari specialisti che possono risolvere il problema specifico. E credo che Confindustria possa arrivare a ricoprire questo ruolo”.

A proposito del suo successore, sembra certa la nomina di Giancarlo Losma. Crede che continuerà a muoversi sul percorso che lei ha tracciato?

“Assolutamente, anzi credo che possa arricchirlo parecchio dal punto di vista dell’internazionalizzazione, un campo dove ha maturato parecchia esperienza. C’è tanto da lavorare per la Piccola Industria e gli faccio il mio personale in bocca al lupo”.

Quale è il suo personale bilancio di questi 4 anni di mandato?

“Credo di essermi messo sempre in gioco, assumendomi le mie responsabilità, mettendoci la faccia in ogni decisione presa, senza trovare delle scuse e soprattutto senza aver paura di scontentare qualcuno. Ho vissuto l’evento più importante con le Assise di Confindustria Bergamo e lascio con un bagaglio di cultura che non si può studiare sui libri. Ma non voglio parlare di traguardi raggiunti: in realtà sono solo punti di partenza”.

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