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La mostra

Thesaurum, una banca a regola d’arte Gli scatti di Mario Cresci

L'allestimento nel chiostro di Santa Marta a Bergamo fino al 21 ottobre presenta 50 fotografie con i tesori della Banca Popolare di Bergamo.

Mario Cresci è un maestro indiscutibile della fotografia contemporanea, ha la consapevolezza tecnica, iconografia e c di chi ha acquisito e rielaborato negli anni l’alfabeto visivo del Novecento, non solo attraverso l’obiettivo ma giocando con i vari e possibili mezzi e forme della rappresentazione mentale e metalinguistica.

E’ a lui che la Fondazione Banca Popolare di Bergamo ha commissionato, in occasione del ventesimo anniversario di costituzione, un’opera site specific, un portfolio di 50 fotografie di cui 25 in grande formato saranno in mostra da oggi al 21 ottobre nel Chiostro dell’ex convento di Santa Marta.

Il progetto trova un altro marchio di qualità nell’esperta e raffinata curatela del critico e storico dell’arte Enrico De Pascale, consulente della Banca Popolare di Bergamo per le raccolte d’arte antica, moderna e contemporanea. Con una campagna di riprese durata due mesi all’interno della Banca, Cresci ha catturato nei suoi click insospettati scorci dell’Istituto e ne ha tracciato un “ritratto” inedito, semplice e complesso allo stesso tempo, grazie a una “progettualità critica, autoriale, disincantata, eccentrica – spiega De Pascale – che non illustra né documenta (non fa reportage), ma procede per intuizioni, analogie, salti logici, paradossi visivi, unendo la curiosità del ricercatore con la ludica leggerezza e l’ironia del poeta”.

Nell’assortita carrellata di ritratti di presidenti, registri storici delle azioni, casseforti e porte blindate, poltrone vuote e calcolatori, fughe di corridoi e colonnati – dove l’occhio si sorprende a leggere i dati in modo nuovo per il sapiente uso di riflessi, inquadrature e rimandi visivi e culturali – e nell’intelligente, curiosa rassegna di dipinti e opere anche di grande pregio e valore– da Cifrondi a Ronzoni, a Funi, a Manzù, da Kapoor ad Armleder, Ma Liuming, Xhafa, Imi Knoebel – con cui Cresci dialoga in modo ora sontuoso ora divertito ora geniale, spiccano con evidenza due grandi assenti: i risparmi e i risparmiatori. Nelle fotografie non c’è ombra di denaro né di clienti, e se il primo è sempre più smaterializzato anche nel vivere quotidiano, i secondi fino a prova contraria esistono ancora.

E’ vero che l’iniziativa si inserisce nell’ambito della manifestazione (promossa da ABI Associazione Bancaria Italiana) “Invito a Palazzo – Arte e Storia nelle Barche”, che, coinvolgendo oltre 50 istituti di credito del territorio nazionale, consente alla cittadinanza la visita dei palazzi e delle collezioni d’opere d’arte in essi custoditi – e lo spirito delle banche nell’occasione è dunque piuttosto quello dell’ostensione di sé e delle proprie raccolte di pregio.

Resta il fatto che per una Banca radicata nel territorio e che ancora si dichiara “vicina al cittadino”, l’esposizione risulta un po’ autoreferenziale e rischia di rimandare fin troppo alla lontana ai valori di servizio ai singoli e alla comunità. Gli scatti fotografici sono di sicuro effetto e godimento: realizzati con maestria e con un certo acuto divertissement, restituiscono degli ambienti atmosfere enigmatiche e rarefatte, con richiami optical o concettuali, rinascimentali o pop, intrecciando in un eclettico, sapiente gioco le traiettorie del mondo dell’arte moderna e contemporanea.

La vita “di fuori” o “di dentro” si intuisce nei riflessi rovesciati delle finestre e degli specchi, e certamente nei segni della presenza in absentia, ma la scelta di lasciare totalmente le persone fuori campo allunga il raggio e l’intervallo tra chi guarda e il soggetto rappresentato, cioè non tanto gli spazi – che sono indagati nei dettagli- quanto il luogo banca esso stesso.

Lo straniamento, d’altra parte, è una cifra distintiva della ricerca di Cresci, e non a caso forse l’unica immagine di un utente in uscita dalla security door della Banca pone in primo piano la personificazione, sbalzata a rilievo nel marmo, delle “rerum permutationes”, come a porre l’accento sullo scambio e la permuta dei beni e delle cose del mondo, una sorta di vanitas di questo tempo che corre, con o senza di noi.

Stefania Burnelli

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