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Scandalo-scommesse, quando a finire infangata è l’immagine di una città

Luciano Passirani analizza lo scandalo del calcioscommesse che vede i suoi protagonisti principali (Gervasoni e Carobbio) passati sotto le Mura Venete, finendo per sporcare la storia di una città, quella bergamasca, che al mondo calcistico ha sempe dato tanto.

di Luciano Passirani

Eppur sono passati di qua, storie biancocelesti. Sto parlando di Carlo Gervasoni, Filippo Carobbio, Francesco Ruopolo, stento a crederlo per Ruben Garlini e Mirco Poloni, pure per Kewullay Conteh, ma se rivado a certi lisci difensivi di Gervasoni, piuttosto che del “negretto”, finisco per vacillare, ricordando anche qualche ciondolare da finto stanco di Carobbio. Tutto tristemente vero, a partire dai convincimenti di Gervasoni sui compagni: “Andreoletti non pagherà nemmeno questa volta per l’accesso ai play-off”.

Così scopriamo giocatori che vendevano se stessi, prima di vendere le partite della propria squadra. Non ricordo un concentrato così numeroso di traditori, tutti transitati nella stessa città, Bergamo, compreso qualcuno con entrambe le maglie, di Atalanta e di AlbinoLeffe. Sono giorni di vergogna, non solo per la retrocessione dell’AlbinoLeffe (perché c’è poca voglia anche nei festeggiamenti per la Dea), per lo smarrimento che provo insieme ai veri appassionati nel dover scrivere di certe cose, perciò, qualora appurato quanto negli atti della accusa, per costoro mi auguro che non ci sia nessuna pietà, che sia radiazione. Perché dico questo? Anche per un semplice episodio che voglio raccontare: il giorno successivo alla gagliarda prestazione dell’AlbinoLeffe con il Verona e conseguente pareggio con un gol per parte (presenti tremila veronesi ad incitare Mandorlini e compagni) un amico mi raccontava che, durante i vani assalti finali dei veronesi, in tribuna d’onore alcuni distinti signori, forse anche dirigenti del club scaligero, se ne uscivano con l’espressione: “Ma guarda questi, si sono venduti anche l’anima e stasera giocano alla morte contro di noi”. Questo fatto, riportatomi nella sua ambigua e crudele verità, mi ha fatto riflettere amaramente per ricondurmi alla conclusione che la città di Bergamo, perimetro sportivo, ne esce con un’immagine certamente compromessa e nemmeno degna della sua storia calcistica.

Detto ciò, continuo a stare dalla parte di Gianfranco Andreoletti, persona seria, appassionata di calcio, realista quanto serve da passare lunghe ore in azienda, così come isolarsi durante le gare di campionato in un solitario pertugio, ora rappresentato da deserti scalini della Nord, piuttosto che dei distinti, poco appariscente anche quelle tre volte all’anno che decide di stare in panca a fianco dell’allenatore, mai sopra le righe, tranne una volta al Garilli quando mi sorprese per un atteggiamento scomposto, quanto innaturale per la sua indole, sbraitare contro Gustinetti che non si decideva nei cambi. E infatti i rapporti con il mister delle promozioni erano ai titoli di coda.

Di tutta la vicenda AlbinoLeffe, l’ex direttore generale Sandro Turotti ripete ancora oggi: “Non ci credo”, con riferimento a Carobbio, ma la spontanea domanda che molti mi rivolgono è: “Ma gli altri direttori generali o sportivi nulla avevano notato?”. Eppure i comportamenti di 14 giocatori della “Celeste” a diverso titolo indagati, qualcuno ha scritto pure della disinvoltura di mogli e compagne nello scommettere, non dovevano dentro e fuori dal campo passare proprio inosservati.

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