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1962-2012: il vaticano ii

Cinquant’anni fa il Concilio Capovilla racconta il valore profetico di Papa Giovanni fotogallery

L’uomo che più di tutti visse vicino a Papa Giovanni ricostruisce la preparazione del Concilio ecumenico, di cui nel 2012 si celebra il cinquantesimo. Per tenere vivo lo spirito del “suo” Papa, vive da 23 anni a Sotto il Monte. “Roncalli parlava al cuore dell’uomo e con la sua bontà aprì strade nuove al dialogo, alla comprensione e alla pace”.

di Giuseppe Zois

Evoca in automatico il nome di Giovanni XXIII, di cui fu segretario particolare. Che vuol dire l’uomo più vicino a Papa Roncalli. Loris Francesco Capovilla, padovano di nascita, veneziano d’adozione, oggi ha 96 anni portati con sorprendente vivacità intellettuale e fisica e da 23 vive a Sotto il Monte. Partiamo dalla terra delle radici del Papa.

"Angelo Giuseppe Roncalli amava immensamente la sua terra – ricorda il fedelissimo segretario –: la sua linea della vita partiva da qui e qui faceva ritorno. Fino al 1958, l’anno in cui fu eletto Papa, qui erano i suoi approdi di vacanza, nella preghiera e nell’aria azzurra. E qui ho messo anche la mia tenda, dopo aver girovagato per 30 anni in Italia: volevo raccogliere i ricordi suoi, anche le piccole cose, perché piano piano, lentamente, possa essere conosciuto il suo spirito".

Papa Giovanni ci riporta a una stagione indimenticabile della Chiesa e del mondo. Tutti i Papi sono buoni, con le solite eccezioni. Papa Giovanni fu visto come l’icona della bontà, con quel suo sorriso che apriva anche i cuori più chiusi. È il Papa del Concilio ecumenico Vaticano II, il primo vento di globale sulla terra: la volontà di rispondere alle attese di cambiamento e di apertura.

"Tutti hanno in mente il discorso della luna e della carezza ai bambini, che furono immagini bellissime – riprende Capovilla – ma se vogliamo parlare di poesia, mi accontento di Leopardi. Dobbiamo cercare altrove la chiave per capire la persona, la vocazione e la dedizione di Papa Giovanni".

Il discorso della luna Il segretario-arcivescovo si ferma come per interrogare. Lo anticipo e gli chiedo dove sia questo passaggio. Parte a raffica: "È là, dove – davanti alla piazza commossa – il Papa dice: “La mia persona conta niente, è un fratello che parla a voi, un fratello diventato Padre per volontà di nostro Signore. Ma tutt’insieme, paternità e fraternità, è grazia di Dio. Tutto, tutto! Continuiamo dunque a volerci bene, così: e nell’incontro proseguiamo a cogliere quello che unisce, lasciando da parte, se c’è qualcosa, quello che potrebbe tenerci un poco in difficoltà…”.

Quando scandisce queste parole, che ha ripetuto migliaia di volte, il segretario si commuove puntualmente: "Iniziava lì un nuovo cammino per l’unità della famiglia umana. Non ne ho trovato un altro che abbia detto la stessa cosa, nella storia, per quel poco che ne so io".

In questo 2012 ricorrono i 50 anni dall’apertura dell’evento. Sono previste celebrazioni e sottolineature, forse bisognerebbe cominciare ad attuare ciò che il Concilio indicò. Capovilla è la memoria storica e il testimone vivente di un beato. Gli faccio presente che quando Papa Giovanni ebbe l’idea del Concilio lui non fu proprio tra i più entusiasti…

"Io non sono un Padre conciliare – replica immediato – né mai ho pensato di mettermi a discutere alla pari con Papa Giovanni: mi sono sentito al servizio di questo uomo di Dio. Quando mi volle con sé, mi insegnò due o tre cose che ricordo molto bene. Primo: si cammina con mansuetudine, parole negative mai. Il punto determinante del rapporto con il superiore sta nell’ascolto: solo quando lui ti interrogherà, risponderai. Se non ti interroga, meglio tacere. A Venezia prima e poi a Roma, gli tenevo l’agenda quotidiana, gli ricordavo gli impegni e a domanda rispondevo".

Sì, ma perché lei personalmente era scettico sul Concilio e come andò con il Papa? “Ma tu pensi come un imprenditore”.

L’arcivescovo fa una breve pausa poi ricostruisce: "Un giorno, con estrema semplicità, il Papa mi disse: ‘Io ti ho parlato di questo disegno del Concilio una, due, tre volte e tu non hai mai detto niente’. Non ci fu nemmeno bisogno che esponessi le mie perplessità al Papa, fu lui stesso a dissiparmele. Mi argomentò le sue intenzioni con queste inequivocabili parole: ‘Ho 77 anni, sono vecchio, il Concilio è un’impresa enorme, che prevede una preparazione, problemi… Lo so, lo so. Ma tu pensi come un imprenditore: il progetto, la ditta che deve fare i lavori, la costruzione e l’inaugurazione. Quando si riceve una buona ispirazione, bisogna accoglierla con gratitudine, è un evento nella vita di un uomo. Se poi Dio mi dà anche la grazia di poter avviare il Concilio, meglio ancora. Non è l’uomo che lo fa, o il Papa; è Dio. Noi siamo soltanto piccoli collaboratori. Io butto il seme, non è necessario che lo veda crescere. I miei occhi di carne vedono il seme che marcisce per terra, ma gli occhi della speranza vedono già la spiga biondeggiante fra i solchi’. Capii il valore profetico di un’intuizione".

Guardo l’uomo che ho di fronte, un uomo che ha visto la storia scorrere davanti ai suoi occhi, i potenti del mondo, nella politica e nella religione, eroi, santi e briganti, intellettuali di ogni provenienza, artisti, gente di cinema e di sport. L’età gli ha permesso di prendersi il giusto distacco nei ricordi e nei giudizi.

Sostiene che "in mezzo secolo abbiamo fatto molta strada, quanta non ne era stata fatta nel corso di secoli". Poi Capovilla afferma che "le difficoltà non dovrebbero rompere la carità. È venuto il momento in cui dobbiamo essere solidali, avere rispetto dell’uomo, dei valori, dei principi, sempre ricordando che se manca l’amore, non siamo cristiani".

Il custode della memoria del grande Papa sfodera la sua abbondante carica di ottimismo e afferma: "Quand’ero bambino, nelle case del mio Veneto se nasceva un ragazzo minorato psichico o fisico lo tenevano nascosto come un peccato, la società ne ha fatta di strada. Si proclama che la legge è uguale per tutti, quando sappiamo benissimo che non è così, però qualche progresso l’abbiamo ottenuto. La persona umana è stata posta al centro del nostro agire. C’è stato un tempo, e non ce ne siamo neanche accorti, che c’erano milioni di schiavi, rapiti alle loro famiglie e alla loro terra ed eravamo cattolici, andavamo a Messa e ai sacramenti".

E come orizzonte l’infinito Insisto con l’arcivescovo per la lunga esperienza pastorale: che cosa dà in più la fede a chi crede, rispetto alla ragione. Un attimo di silenzio, poi Capovilla scandisce la risposta: "La fede offre l’opportunità di trascendere il tempo e lo spazio. D’altra parte, proviamo a pensare: noi abbiamo qualcosa di noi stessi, del nostro corpo che non conosciamo. Come funziona il cervello? E quelle macchine straordinarie che sono gli occhi, le orecchie, i polmoni, il cuore, il sangue che scorre nelle vene senza che ce ne accorgiamo? Ma ci saranno realtà più grandi di queste, ancora, al di là degli spazi. Noi siamo gli uomini che cercano di sapere. La fede ci illumina e guida. Siamo stati creati per l’infinito".

È mezzogiorno e dal campanile di Sotto il Monte arrivano i rintocchi dell’Angelus. Capovilla si alza, spalanca la finestra del suo studio e allarga le braccia: "Impercettibilmente ma provvidenzialmente, l’umanità procede in avanti, sull’esempio di eroi, di artisti, di asceti, di santi".

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