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L'appello

“Le aziende meccaniche non si meritano la diffidenza delle banche”

Raffaele Ghilardi, presidente del Gruppo di Confindustria Bergamo, denuncia la persistenza del “credit crunch”.

“C’è un drappello di aziende metalmeccaniche che sta marciando e con esse tutto il loro indotto. Per molte, soprattutto quelle realmente innovative e internazionalizzate, con dimensioni adeguate, la crisi più pesante è alle spalle. Ma è difficile fare generalizzazioni, mai come in questo periodo la situazione è a macchia di leopardo”.

Per il presidente degli imprenditori meccanici di Confindustria Bergamo Raffaele Ghilardi, che oggi pomeriggio ha presieduto l’assemblea di gruppo, previsioni e pronostici sono da archiviare, anche se è un fatto il leggero incremento del numero delle associate, passate da luglio da 500 a 520, con una tenuta del numero dei dipendenti, saliti da 36.500 agli attuali 36.740.

“Le grandi crisi aziendali, dalla Indesit alla Frattini – ha aggiunto nella conferenza stampa che ha preceduto l’assemblea – le abbiamo già scontate. L’impressione è che sul breve periodo ci sia la possibilità di lavorare bene. Se ci proiettiamo più avanti l’incertezza è massima”.

Certa è, secondo il presidente del Gruppo, la realtà del credit crunch, la difficoltà di molte aziende ad avere i finanziamenti.

“I dati – ha rilevato – sono veramente misteriosi. Le banche dicono di aver aumentato gli impieghi, ma la realtà è che molte aziende con i fondamentali sani hanno difficoltà di vario tipo: ci sono problemi di tempistica, tassi elevati, non dimentichiamoci che i soldi che chiediamo alle banche ci costano il doppio e oltre rispetto al concorrente tedesco. I metalmeccanici bergamaschi non si meritano un simile trattamento, tranne casi singoli che possono anche esserci, non siamo certo noi ad avere creato problemi di solvibilità”.

Per Raffaele Ghilardi è importante anche ribadire la forza del settore nel suo complesso, come è emerso dalla riunione di Firenze dei direttivi di tutti i gruppi metalmeccanici nazionali.

“Non dobbiamo dimenticare – ha sottolineato – che il saldo attivo delle imprese del settore è molto positivo e che il saldo della nostra manifattura nel suo complesso si mantiene ai primi posti mondiali, nonostante l’ingresso di nuovi paesi come Cina e Corea, mentre Francia, Inghilterra e Stati Uniti sono sprofondati in area negativa”. E ancora, se nel 2000 il saldo della bilancia commerciale dei macchinari e produzioni affini era equivalente a quello del sistema moda, nel 2011 il primo è più che raddoppiato e il secondo è quasi dimezzato.

“La fotografia del momento è positiva – commenta anche Alberto Ribolla, coordinatore del Club dei 15, che raccoglie le associazioni territoriali di Confindustria dove la manifattura è prevalente, ospite dell’assemblea insieme con Lucio Cassia, presidente vicario della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Bergamo – resta il fatto che stiamo perdendo posizioni in quanto a capacità di generare reddito. Il modello va ripensato, anche se dobbiamo considerare che gli ultimi dati dell’export sono positivi e che l’innovazione, se non la ricerca, è molto diffusa”.

Ma per aumentare la redditività bisogna, secondo Ribolla, non puntare solo sul prodotto di nicchia, che può andar bene per un certo periodo, ma è una strategia che ha una scadenza, e fare il definitivo salto di qualità in termini di dimensioni, prodotti nuovi, approccio ai mercati esteri. Piani di azione su cui aleggia però un clima di incertezza e di continuo cambiamento che, avverte Lucio Cassia, diventerà la costante dei prossimi tempi.

“L’industria sta dimostrando il suo valore, come confermano i dati positivi delle esportazioni ( il manifatturiero bergamasco ha chiuso il 2011 con un più 8,5% a 12,45 miliardi di euro secondo gli ultimi dati Istat, con buoni prestazioni del comparto meccanico) è però evidente e dovremo averne sempre più consapevolezza, che il nord, nord-est del paese sta passando da un economia “del sudore”, dello stakanovismo, della laboriosità, a un’economia nuova, dove conta il sistema di relazioni, dove è premiato chi ha un modello organizzativo flessibile, in grado di assorbire gli urti”.

Fare previsioni, insomma, risulta inutile e la sfida è “gestire l’incertezza” puntando su “innovazione ad ampio spettro” e “approccio di natura imprenditivo”, teso al miglioramento, che permei tutta l’azienda e le sue funzioni.

ROSSANA PECCHI

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