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Donne & manovra

“A un passo dalla pensione lavorerò altri 5 anni”

Anna, sessantenne, racconta i sacrifici per crescere un figlio da sola, i 36 anni di contributi e alla vigilia della pensione la beffa: dovrà lavorare per altri 5 anni.

Ventinove giorni e una beffa. Per ventinove giorni Anna, 60 anni il prossimo 29 gennaio 2012, si trova nel vortice della riforma varata domenica sera dal Governo Monti.

La beffa sta nel vedersi da un momento all’altro, arrivata al traguardo dell’agognata pensione per cui ha lavorato 36 anni, di vedersi spostare l’arrivo più il là.

“Quattro o forse addirittura cinque anni, non ci posso credere. Saluto colleghe che vanno in pensione ed io che invece dovrò rimanere ancora in ufficio per altri cinque anni – è un fiume in piena di parole Anna, come se le parole potessero dare sfogo alla rabbia che la anima da domenica sera –. È tre notti che non dormo, non posso pensarci, mi viene da piangere. È come se uno tsunami mi avesse stravolto la vita”.

Anna ha un figlio di 31 anni che ha cresciuto da sola con tanti sacrifici, una madre di 84 anni da seguire, 36 anni di contributi versati e una pensione che domenica sera “per la decisione di qualcuno si è spostata più in là di colpo. Mi sembra una condanna, una beffa. Uno scherzo di cattivo gusto. Già con il precedente governo, con la nuova finestra avrei dovuto andare in pensione un anno e un mese più tardi, adesso ne hanno aggiunto d’un sol colpo altri quattro”.

Anna crede che sia una vera ingiustizia. “Capisco che il Paese attraversi una grave crisi economica, che si chiedano sacrifici a tutti, ma come me ci sono tante donne che a sessant’anni sono il vero stato sociale, accudiscono i nipoti e fanno da badanti ai proprio genitori supplendo agli asili nido ed ospizi troppo costosi – afferma Anna –. Sono molto arrabbiata, capisco le lacrime del ministro Fornero, forse da donna sapeva quale sacrificio chiedeva ad altre donne. Si sarà anche commossa, ma è partita dalla parte sbagliata: le donne reggono sulle proprie spalle troppe fatiche e sono sfinite, meritavamo tutte un po’ più di tutela”.

Anna non nasconde la rabbia di vedere sue coetanee che da vent’anni percepiscono la pensione: chi con i 14 anni di contribuiti e le altre con i 19 anni e qualche maternità.

“Ho versato contributi per il doppio di queste donne e mi ritrovo penalizzata, anzi condannata a dover lavorare altri quattro anni – continua Anna –. Le loro di pensioni non sono state scalfite per il principio che i diritti acquisiti non si possono toccare, ma credo che anche il mio diritto alla pensione fosse da lasciare tale e non stravolgerlo. Capisco la riforma, ma quello che credo devastante sia il gradino anzi un’insormontabile gradone. Le persone fanno anche progetti per fare finalmente la propria vita libere da un lavoro che la maggior parte delle persone non scelgono, e quindi vivono con meno piacere di chi lo sceglie”.

Le considerazioni di questa sessantenne bergamasca sconvolta non sono solo per se stessa.

“Questa riforma delle pensioni si ripercuoterà anche sui giovani – puntualizza Anna –. Se noi di una certa età, dopo aver lavorato per tanti anni, non andiamo in pensione occupiamo posti di lavoro che i giovani non potranno avere. Ho avuto colleghe giovani, laureate, preparate che hanno lavorato con me in un ufficio in Questura per sei mesi, con contratti interinali, che hanno svolto mansioni importanti e delicate come le urgenze per i rinnovi dei permessi di soggiorno. All’Inps altre bravissime giovani hanno seguito mobilità, invalidità civili, ovvero assistenza e risposta urgente ai più svantaggiati. Sono passati nove mesi e queste ragazze sono disoccupate, non hanno un lavoro e non possono costruire una famiglia, fare figli perché non hanno prospettive per poterli mantenere, mentre io andrò al lavoro con il mal di schiera per altri cinque anni per poi percepire una pensione ridotta. È davvero un paradosso”.

Il problema per Anna è la gerontocrazia maschile italiana: “Abbiamo una classe dirigente di vecchi, anziani, ricchi, pluripagati perché alle pensioni aggiungono altri redditi in cumulabili. Questi signori se ne vanno affatto e quando li liquidiamo stacchiamo assegni da capogiro: ecco dove si deve tagliare per risparmiare”.

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