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L'addio

Morto Lucio Magri, dalla Dc di Bergamo al Manifesto

Suicidio assistito in Svizzera. Nato a Ferrara, ma cresciuto a Bergamo, Magri aveva 79 anni. Si era avvicinato alla politica nella sinistra democristiana. Tra i fondatori del Manifesto nel '69.

Lucio Magri, fondatore del Manifesto, nato a Ferrara ma cresciuto a Bergamo dove aveva avvicinato la politica nella sinistra democristiana insieme a Giuseppe Chiarante, è morto in Svizzera all’età di 79 anni. Morto per sua volontà, perché vivere gli era diventato intollerabile, ha scelto il suicidio assistito.

Precoce, Magri lo era stato in maniera spettacolare: nei primi anni Cinquanta già figurava fra i redattori della rivista mensile "Per l’azione", un organo dei giovani della Dc cui si consentivano attacchi quasi temerari alle "brutture del capitalismo". Del Magri di allora ci rimane un ritratto che ne fece anni fa il bergamasco Giuseppe Chiarante, suo amico d’una vita: "Era ammirato dalle compagne di scuola", così egli ricorda, "per la sua presenza atletica e perché considerato molto bello".

Quando, nel 1955, esce un altro periodico democristiano di sinistra, "Il Ribelle e il Conformista", è lui, Magri, a condividerne di fatto la direzione con un altro appassionato politico di Bergamo Carlo Leidi: qui si delinea un’ipotesi di apertura a sinistra.

Sta intanto per uscire un’ennesima rivista, "Il Dibattito politico", che, legata all’orbita ideologica di Franco Rodano, è diretta da Mario Melloni, con condirettore Ugo Bartesaghi: per misurarne le qualità ereticali basti ricordare che i due saranno espulsi dalle file dello Scudo crociato per aver votato contro l’ingresso dell’Italia nell’Unione europea occidentale. Il gruppo redazionale nel quale Magri esercita con passione il suo ruolo riunirà poi, accanto al solito Chiarante, intellettuali del rango di Ugo Baduel, Giorgio Bachelet, Edoardo Salzano. Programma dichiarato è "la ricerca delle necessità che sollecitano il mondo cattolico e quello comunista al dialogo". Potrà un simile progetto attuarsi dentro la DC?  Magri e gli altri sono i primi a dubitarne. La diaspora verso "la sinistra storica" è nei fatti. La "vita democristiana" di Lucio Magri è stata breve e intensa: più lunghi saranno il tragitto verso il Pci e poi la permanenza in quel partito. Nell’estate del ’58, Giorgio Amendola, responsabile dell’organizzazione, lo riceve nel suo studio a Botteghe Oscure insieme a Chiarante e lo invita a aver esperienze di base. E’ così che Magri se ne tornò a Bergamo, diventando prima segretario cittadino, e, due anni dopo, vicesegretario regionale.

Poi parte per Roma dove si avicina a Pietro Ingrao, Rossana Rossanda, Luciana Castellina. E le distanze dal Pci cominciano a farsi sentire fino al 23 giugno 1969 quando arriva in edicola, a Roma, la rivista "Il Manifesto", che subito apparve un caso esemplare di eresia politica.  Il primo numero vende 50 mila copie biasimando certi anticipi di "compromesso" fra Pci e Dc. Sotto il titolo "Praga è sola", si tesse un elogio della "primavera" di quella capitale, che Mosca ha represso. A Magri e Rossanda venne rivolto un vano invito a ritrattare. Non lo fanno e vengono radiati tutti.

Insomma, fine anni Cinquanta: fuori dalla Dc. Fine anni Sessanta: fuori dal Pci. Ma di Lucio Magri si continuerà a parlare. Almeno un po’: anni Settanbta critiche a Berlinguer e poi la leadership del Pdu, Partito di unità proletaria, con il quale il gruppo del Manifesto s’era fuso. Negli anno Ottanta lo si ritrova daccapo nel Pci, quando il Pdup vi confluisce. Sempre in Parlamento, a volte in questo o quel vertice di partito. Fino alla finale dissoluzione del Pci: Rimini, febbraio 1991.

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