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Alessio Boni e Cesvi insieme contro l’Aids

Su "Io Donna" l'intervista all'attore bergamasco che promuove come testimonial la campagna del Cesvi contro l'Aids.

Quando si sporge dentro il bar del teatro comunale di Carpi e alza il cappello sugli occhi blu, solleva un inseguimento di sguardi. Ma è un attimo: appena entra e saluta con calore, Alessio Boni accorcia subito la distanza. Dopo un sorriso, poi, pare sia qui da sempre. Invece è di passaggio con lo spettacolo Art di Yasmina Reza, in scena anche con Alessandro Haber e Gigio Alberti (in tournée fino al prossimo febbraio). Ma il motivo per cui lo incontriamo va più in là dell’essere uno degli attori italiani più amati: da tempo impegnato in campagne umanitarie, Boni è appena tornato da una missione in Zimbabwe con la Ong Cesvi, e sarà il testimonial per la campagna contro l’Aids, di cui il 1º dicembre si celebra la giornata di riflessione mondiale. Con lui, che ha 45 anni e dunque appartiene alla generazione che è cresciuta e ha amato nell’era in cui l’Hiv ha messo nuovi freni alla sessualità liberata dei decenni precedenti, tentiamo di fare un bilancio a 30 anni di distanza dal 1982, quando per la prima volta si parlò di "sindrome da immunodeficienza acquisita".

 

Ne venne a conoscenza subito?

In realtà no, sono nato e cresciuto a Sarnico, un paesino vicino Bergamo, e lì ovviamente le notizie avevano, almeno allora, un’onda più lenta. Passarono forse due anni quando un insegnante di religione ci parlò della malattia che colpiva omosessuali e tossicodipendenti. Nel frattempo però, io vedevo già amici che si ammalavano… Non le venne paura di essersi già trovato anche lei in situazioni a rischio? Avevo una fidanzatina e stavo con lei. Però in quegli anni l’eroina imperversava. A me non venne mai di provarla, per quanto fossi cresciuto in un ambiente di proletariato, dove poteva capitare di aggregarsi a compagnie sbagliate. Dei miei amici di allora, 6 o 7 se ne sono andati per Aids e droghe.

 

La conoscenza del virus cambiò i suoi comportamenti?

Allora c’era una grande confusione. Chi si ammalava veniva ghettizzato, era come un’autodenuncia: o era gay o era drogato. Poi si diffuse persino il dubbio che bastasse un bacio, la puntura di una zanzara per il contagio, e allora, sì, iniziò un po’ la fobia. Però devo dire che anche dopo quel periodo, quando ero solo, non ho mai chiesto a una ragazza le analisi del sangue…

 

E lei le ha mai fatte?

Sì, a 24 anni più o meno. Le avrei fatte comunque e ho deciso anche di controllare l’Aids. La coscienza era più o meno a posto, ma qualche brivido nell’attesa dei risultati l’ho avuto. Come mai si tende a pensare che queste cose succedano solo agli altri? Non lo so, in quei momenti non ti viene di chiedere… Al limite quando vivevo in America, se avevo rapporti occasionali, usavo il preservativo. Poi va a finire che uno si fida… E intanto negli anni ’90 se ne andavano Freddie Mercury, Rudolf Nureyev… i nostri miti. Quando poi ero a Roma, all’Accademia Silvio d’Amico, il mio insegnante di danza prima dimagrì spaventosamente e poi morì… Non si è mai sicuri, in realtà. Forse però c’è anche che io ho sempre preferito stare con una sola persona… (e mentre lo dice sorride a Francesca, la sua fidanzata che siede con noi, ndr). Diciamo che l’Aids è stato per un po’ una nuova spinta alla fedeltà dopo le libertà degli anni ’70.

 

Oggi che percezione ha della malattia?

Oggi se ne parla meno, perché nel mondo ricco esistono farmaci che la controllano. Ma è in terribile espansione tra i giovani tra i 15 e i 22 anni. Io non vado più molto nei locali notturni, ma di recente in una discoteca milanese ho visto a che livello arriva lo sballo tra i giovanissimi, un mix di alcol e droghe sintetiche. E a quel punto chi fa più attenzione a cosa succede e a come e con chi si fa sesso…?! Per non parlare del turismo sessuale nei Paesi a rischio. Infatti questa campagna serve per il Terzo mondo, ma anche per noi, per rialzare il livello di attenzione. La pandemia è sempre alle porte.


Venendo appunto al suo recente viaggio, come mai lei dedica tanto di sé all’impegno umanitario?

Guardi, non è nato prima l’impegno e poi l’idea di viaggiare con le missioni umanitarie. Io vengo dalle situazioni che le ho descritto. Nel mondo patinato ci sto bene, mi considero fortunato, ma ho bisogno di verità. Dopo un po’ se non vado in qualche luogo più genuino mi manca l’aria. Quindi ho iniziato a viaggiare prestissimo. Da solo, con la moto. Per conoscere davvero chi sono gli altri, i nostri vicini. Da lì all’impegno il passo è stato breve.

 

Il viaggio in Zimbabwe com’è nato?

La Ong Cesvi è di Bergamo come me, e da un po’ ci pensavo. Finche c’è stata l’occasione giusta. Non era la prima volta in Africa per me, e non sarà l’ultima. Vede, lì non hanno le pastiglie con cui noi controlliamo la malattia: 3 euro al giorno è il costo, e per loro sono troppo care! E intanto la mortalità è tra il 30 e il 33 per cento, soprattutto bambini. Manca l’educazione di base su prevenzione e cura, e qui agisce Cesvi. Se la mia faccia servisse a mettere anche solo una goccia di acqua sana dentro un mare malato, ne sarebbe valsa la pena. Anzi, forse è anche perché sono stato lì che questa sera posso andare sul palco con leggerezza, senza pensare che tutto si concluda sotto questi riflettori.

 

IN PRIMA LINEA CON GLI STUDENTI ITALIANI

Si chiama "Fermiamo l’Aids sul nascere" la campagna che l’Ong Cesvi porta avanti da 10 anni con programmi di educazione, prevenzione e cura in Africa e in Vietnam. Solo in Zimbabwe sono un milione gli orfani per Aids, loro stessi infetti. Dodici milioni sono in tutta l’Africa i giovanissimi ammalati, e ogni minuto avvengono 6 nuovi contagi. L’1 dicembre è la giornata mondiale di lotta all’Aids: è possibile contribuire alle iniziative del Cesvi donando 2 euro tramite sms al 45509, fino al 19 dicembre (info: cesvi.org). Il Cesvi con l’editore Sinnos ha anche condotto un progetto di sensibilizzazione in due scuole romane. I ragazzi hanno letto insieme Il segreto di Chanda, di Allan Stratton, e girato alcuni spot sulla malattia.

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