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Comprare Btp per sostenere il debito? Ci sta anche Pesenti

Anche il bergamasco Carlo Pesenti ha aderito alla proposta lanciata da Giuliano Melani dalle pagine del Corriere della Sera: ecco cosa scrive sul quotidiano di via Solferino Fabrizio Massaro.

Anche il bergamasco Carlo Pesenti ha aderito alla proposta lanciata da Giuliano Melani dalle pagine del Corriere della Sera: ecco cosa scrive sul quotidiano di via Solferino Fabrizio Massaro.

Non è una proposta solitaria, quella dell’imprenditore Giuliano Melani di invitare gli italiani ad acquistare titoli di Stato per sostenere il debito pubblico nazionale, lanciata venerdì con una pagina di pubblicità sul Corriere della Sera. Al contrario con lui ci sono già altre 15 mila persone, fra imprenditori, uomini di finanza, manager e gente comune che hanno sottoscritto l’appello «Se l’Italia ha bisogno noi ci siamo» lanciato all’inizio di agosto da MF-Milano Finanza.
Sembra un’era fa, visto che il richiamo all’acquisto di Bot e Btp da parte delle testate del gruppo Class era nato per stemperare uno spread rispetto ai titoli di stato tedeschi che aveva sfondato quota 300. Oggi quel divario si è innalzato oltre 450 punti base, e le future emissioni di Btp per sostituire il debito in scadenza appaiono non così agevoli da superare.
«Le nostre industrie, le nostre banche, sono solide. La ricchezza liquida del paese è più di dieci volte (oltre 3.000 miliardi) l’ammontare dei titoli che ogni anno lo Stato italiano deve emette per rinnovare quelli in scadenza», era scritto nell’appello di agosto. «Il 50% del debito pubblico è in mano a noi italiani. Se all’Italia serve, se dovesse servire il nostro aiuto per le emissioni, noi ci siamo».
Le prime adesioni sono arrivate dall’establishment economico-finanziario: Diego Della Valle, Luca Cordero di Montezemolo, Fulvio Conti, Giuseppe Recchi, Giovanni Perissinotto, Carlo Pesenti, Marco Tronchetti Provera, Sergio Marchionne, Francesco Micheli, John Elkann, Antonio Vigni, Gianni Zonin.
Un elenco lievitato fino a quota 15 mila e diventato un’associazione, «L’Italia c’è», che ha elaborato anche una proposta di legge per abbattere drasticamente il debito. «Anche Mario Draghi ci telefonò perché l’iniziativa aveva avuto effetto anche a livello internazionale», racconta Paolo Panerai, giornalista ed editore di MF-Milano Finanza, «questo vuol dire che la strada è giusta. Anche il presidente della Repubblica, attraverso il segretario generale del Quirinale, ci ha dato sostegno».
L‘idea che siano gli italiani a comprare il debito pubblico è utile «perché consente di non far fallire le aste, non far salire gli spread e far rimanere in Italia la ricchezza garantita dagli alti rendimenti», spiega Panerai. Ma c’è un’altra fase da sviluppare. «Come dice Barack Obama, l’Italia è un grande Paese, cioè è un Paese ricco, abbiamo 3000 miliardi netti di ricchezza immobiliare a altri 3000 miliardi come ricchezza finanziaria, titolo di Stato compresi. Insomma i fondamentali sono buoni anche se siamo schiacciati da un enorme debito. E come farebbe ogni imprenditore, anche l’Italia deve ridurre il suo debito non solo cercando di far crescere le entrate».
Ma come? «Lo stato italiano ha circa 2000 miliardi di asset, soprattutto immobiliari», è la premessa. La proposta di «L’Italia c’è», consegnata al ministro dell’Economia Giulio Tremonti e al governo, è che per decreto tutti gli italiani debbano avviare un investimento forzoso, «naturalmente con criteri di equità», in una spa o un fondo in cui lo Stato abbia conferito beni immobiliari e partecipazioni azionarie non vendibili, «come il Bancoposta che da solo vale 50 miliardi, oppure quote di Eni, Enel e Terna», spiega Panerai.
I cittadini sottoscriverebbero sulla base della dichiarazione dei redditi e della tassazione delle rendite finanziarie conosciuta dai sostituti d’imposta, come le banche. In più sarebbe chiesta un’addizionale dal 10-15% sui capitali rientrati con lo scudo fiscale. «E non ci sarebbe bisogno della patrimoniale, anche mini, come propone la Confindustria, perché è una imposta regressiva e fa fuggire i capitali come sta già avvenendo.
Con l’investimento forzoso farebbe un buon affare lo Stato, che ridurrebbe il debito diciamo di 100 miliardi l’anno per tre anni, ma anche i cittadini per i rendimenti offerti. Con 300 miliardi in meno il rapporto deficit-pil scenderebbe, e abbattendo lo spread si pagherebbero meno interessi da destinare allo sviluppo e alla crescita del Paese».
 

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