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La riflessione

Yara e un avvocato silenzioso Differenza abissale con altri casi

Da Cogne a Perugia, passando per Avetrana e Somma Vesuviana: la realt??, le indagini e la difesa sono tutt'uno con il clamore mediatico.

Il caso di Yara Gambirasio è davvero un’eccezione. I genitori nominano un avvocato, in silenzio, senza dirlo a nessuno, dieci mesi dopo l’omicidio della figlia. E non vogliono che vada in televisione a parlare al loro posto, solo che tuteli il loro interesse per la verità, fino in fondo. Un’eccezione che conferma la regola, nel panorama dei grandi casi italiani di cronaca: Cogne, Garlasco, Avetrana, il caso Meredith a Perugia, l’assassinio di Melania Rea.
In quei casi è successo, come è facile constatare e come molti giornalisti sanno, che molti avvocati si sono fatti avanti spontaneamente, andando loro a cercare l’incarico senza nemmeno troppo rispettare i citofoni e le porte d’ingresso di casa di famiglie straziate da un dramma appena accaduto. Ed è successo anche, in modo evidente, che persone riconosciute colpevoli con sentenze passate in giudicato, prima di quelle sentenze abbiano utilizzato determinati avvocati per creare clamore mediatico, per creare pressione attorno agli inquirenti e ai giudici che dovevano prendere decisioni delicate.
Una vera giungla, giocata tra strategie difensive e strategie mediatiche, non sempre andate di pari passo, tra apparizioni televisive sempre più pressanti e spesso, le indiscrezioni dicono che è così, fiumi di soldi finiti nelle tasche degli stessi avvocati che sfilano in quelle trasmissioni.
Tanto da rendere evidente una circostanza: spesso alcuni legali, ed è successo sicuramente a Perugia, Avetrana e Somma Vesuviana, non si fanno nemmeno pagare dai loro assistiti. La fonte di guadagno è un’altra: si spillano soldi alle emittenti televisive, disposte a pagare per garantirsi la presenza in studio di un legale rappresentante della data famiglia, oppure per ottenere la presenza sotto i riflettori dei protagonisti del caso (vittime o carnefici), passando sempre attraverso gli avvocati.
Una giungla, dicevamo, in cui il cane si morde la coda. Se il circo mediatico viene a patti con gli avvocati e se da quel circo sono gli stessi legali a trarre giovamento, economico, il sospetto è che si abbia tutto l’interesse a mantenere in vita lo stesso circo mediatico. Il caso di Avetrana è emblematico, fin dal giorno in cui lo zio di Sara, Michele Misseri, divenne protagonista in diretta tv di un passaggio fondamentale per le indagini. Non ci riferiamo solo all’annuncio del suo arresto dato in diretta da “Chi l’ha visto?” ma al momento in cui Michele Misseri mostrò in televisione il cellulare di Sara, che diceva di aver ritrovato in un campo.
In quel momento, ad un mese circa dalla scomparsa della ragazzina, si capì definitivamente che gli stessi protagonisti del giallo erano pronti a diventare protagonisti di una vicenda mediatica complessa, di cui ancora oggi non si intravede la fine. La televisione ha sovrastato tutto, realtà inclusa. E da quel giorno, con Michele Misseri che sostanzialmente si auto – incastrava, i legali non hanno bussato solo alla porta della famiglia Scazzi. Senza che nessuno, a casa Misseri, alzasse la cornetta del telefono per cercare un legale, erano gli stessi avvocati a farsi avanti, in doppio petto e in cerca di telecamere. Tutti disposti a lavorare per questo o quel cliente “senza farsi pagare”.
Racconta una collega giornalista: “Ho saputo di interviste pagate fino a 30 mila euro”. E un’altra collega aggiunge: “Invece di far valere le sue ragioni in tribunale un avvocato è venuto a suggerirmi domande da infilare nelle mie interviste, perché gli facevano comodo per capire le reazioni di una data persona”. In questo modo la profonda campagna pugliese ha incontrato i mass media degli anni 2000, come mai aveva fatto. E’ diventata un Circo Massimo di tifoserie in merito alla morte di una ragazzina, con gente che è arrivata a sfilare in piazza con striscioni contro zio Michele, come se stessimo parlando di calcio o di altri sport.
E’ lecito chiedersi se sarebbe successa la stessa cosa senza la pressione mediatica in campo, senza quella sfilza di legali e consulenti tecnici, anche loro sempre in cerca di apparizioni televisive, che sul circo mediatico hanno puntato molto.
Al di là dei giudizi di merito che si possono dare (ognuno la pensi come vuole), anche in questo caso i genitori di Yara hanno segnato una distanza abissale da altri atteggiamenti. Fino a far stupire buona parte dell’opinione pubblica: nessun avvocato nominato al momento della scomparsa della ragazzina, nessun legale nemmeno nel drammatico momento del ritrovamento del corpo, e ancora nessun avvocato al momento dell’autopsia, quando ci si poteva presentare come parte lesa. Niente. Dieci mesi dopo arriva la notizia: i genitori hanno nominato il penalista Enrico Pelillo, del foro di Bergamo. Notizia diffusa dalla famiglia tramite televisione? No, notizia emersa in ritardo solo e unicamente da indiscrezioni. E l’avvocato dice: “No comment”.

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