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Letture

Dal calcio milionario ai lavori umili “Ecco perchè ringraziare gli immigrati”

"Grazie. Ecco perché senza gli immigrati saremmo perduti" è un saggio scritto dal giornalista Riccardo Staglianò, che spiega il debito degli italiani verso gli immigrati da un punto di vista pratico ed economico.

“Grazie”. Questa parola non viene rivolta spesso ad un immigrato, ma non si tratta solo di reticenza verso qualcuno percepito come alieno: a volte è proprio incapacità (o mancanza di volontà) di vedere i meriti di una categoria di persone – gli stranieri venuti nel nostro Bel Paese – ed il debito che abbiamo nei loro confronti. Per questo, il minimo sarebbe ringraziarli. Questo è il pensiero Riccardo Staglianò, giornalista della Repubblica ed autore del libro “Grazie. Ecco perché senza gli immigrati saremmo perduti” (editrice “Chiarelettere”). In realtà, il testo non è proprio una novità, essendo datato nel 2010, ma in un periodo di forte crisi economica come quello attuale può risultare una lettura interessante. Staglianò, infatti, affronta la questione immigrati da un punto di vista estremamente pratico, come spiega lui stesso nelle pagine del libro: “Lo scopo immodesto di questo libro è di contribuire a superare le secche in cui si dibatte la politica in tema di immigrazione. Non proverò neanche a convincere alcuno cui non viene già spontaneo che un nero, un giallo, un olivastro va trattato bene in quanto essere umano. Non parlerò quindi tanto al cuore del lettore, quanto al suo portafogli”. E proprio per toccare queste corde, il libro è pieno di dati – si tratta dopotutto di un saggio che rasenta il documentario – tra cui il più significativo è che “gli immigrati sono poco più del 6% della popolazione e producono circa il 10% del PIL. Di fatto, ci pagano la pensione”. Gli immigrati servono in moltissimi ambiti professionali e della vita quotidiana. Pensiamo al calcio: se l’Inter non avesse giocatori stranieri, per arrivare a 11 dovrebbe scendere in campo anche Moratti. La titanica lotta per l’affermazione del Made in Italy è aiutata anche da gente ‘Not Made in Italy’: senegalesi che raccolgono le mele in Val di Non, indiani che preparano la mozzarella di bufala, nigeriani che conciano le pelli per i giubbotti ed un tunisino che – a detta di “Gambero Rosso” – prepara la miglior carbonara in Italia. Questo discorso vale anche per i lavori più quotidiani, quelli vicini a noi, quelli che “ci vengono rubati”: solo che questi lavori umili, duri, faticosi e fondamentali vengono rifiutati dai nostri connazionali. “Oggi è troppo comodo dire, come fa qualcuno, mandiamo a casa loro e riprendiamoci il lavoro. Perché il lavoro c’era anche prima e non interessava a nessuno”. Badare a bambini ed anziani, pulire gli uffici, consegnare pacchi e merci, guidare camion, raccogliere i rifiuti: sono tutte mansioni che sono sempre state considerate di basso livello, guardate dall’alto in basso, eppure avevano bisogno di essere svolte e gli immigrati hanno accettato questo ruolo. Probabilmente, ancora oggi molti guardano a questi lavori con disprezzo, eppure sono pronti a gridare “Al ladro!” non appena vengono toccati. In pochi considerano che se qualcuno occupa i gradini più bassi della gerarchia lavorativa, questo crea una possibilità di ascesa per gli italiani con le abilità necessarie. Senza contare che gli immigrati portano forza lavorativa in un paese che si sta ingrigendo, con la popolazione che vive sempre di più e si riproduce sempre di meno, con il rischio di far saltare le politiche di welfare. Insomma, la ricerca di Staglianò – perché di ricerca si tratta, con dati oggettivi ed argomentazioni razionali – ci dice questo: possiamo mandare via gli immigrati come gridato da molti, per ritrovarci in un paese anziano, con tutta una serie di lavori faticosi ed umili – ma necessari – da coprire e la nostra adorata serie A stroncata dalla partenza di un terzo dei suoi giocatori; oppure, possiamo dire grazie.

 

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