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Dopo lampedusa

Gli 8 tunisini a Bergamo: “Vogliamo lavorare qui”

Sono tutti giovanissimi, parlano solo arabo e sanno di non essere ben accetti. Gli altri stranieri giunti con loro a Villa Quarti se ne sono andati subito Oltralpe. Goisis, Ruah: "Ne arriveranno altri".

Sono seduti nel giardino di Villa Quarti, gli otto tunisini ospitati a Bergamo su indicazione del Ministero dell’Interno. Aspettano il loro turno per i colloqui individuali con i quali si spera di ottenere qualche informazione in più su di loro: età, professione svolta in patria, obiettivi per il futuro.
Quando ci si avvicina si mostrano sospettosi: sanno di non essere i benvenuti, la Francia ha appena chiuso la frontiera, si affrettano a mostrare i permessi temporanei. Non parlano italiano, né francese, né inglese; solo grazie ad un mediatore linguistico capiscono di non avere a che fare con l’ennesimo controllo, e allora si lasciano andare. Raccontano dei quattro giorni passati in mare sui barconi degli scafisti, del centro d’accoglienza in cui sono stati stipati a Lampedusa, del viaggio sui pullman della polizia durato quasi tre settimane da Crotone a Napoli, quindi Milano e infine Bergamo.
Il gruppo rimasto a Bergamo
A Villa Quarti erano arrivati in 25 nel pomeriggio di sabato 16 aprile. Facevano parte dei 99 tunisini partiti da Lampedusa e destinati alla Lombardia. Entro la mezzanotte, sette se ne erano già andati: una volta smistati fra le varie regioni, infatti, gli immigrati non hanno alcun obbligo di dimora, e possono vivere senza restrizioni sul territorio nazionale, provvedendo a mantenersi da sé. Durante la domenica altri 10 hanno lasciato la Villa di via San Bernardino. Tutti intenzionati a raggiungere parenti in Francia, soprattutto a Parigi, nonostante le misure repressive e di controllo flussi annunciati Oltralpe. Gli otto rimasti a Bergamo sono gli unici, tra i 25 iniziali, a parlare solo arabo. Non hanno appoggi o parenti né in Italia né in Europa; è proprio per quelli come loro che la situazione sembra difficilmente migliorabile.
Hanno un permesso temporaneo rilasciato per motivi umanitari, riconosciuto solo in Italia, della durata di sei mesi. Il documento permette loro di cercare lavoro. “Io sono parrucchiere” dice Muhammad, 24 anni, con una frase imparata a memoria. Gli altri circondano il traduttore, vogliono far sapere di essere pasticcieri, verniciatori, tappezzieri, ma di essere pronti ad accettare qualsiasi lavoro, “scrivetelo sui giornali”, quasi implorano.
Verso l’integrazione
“Questa mattina di buon’ora erano già pronti ad uscire per cercare lavoro – afferma Bruno Goisis, presidente della Comunità Ruah – ma abbiamo dovuto fermali: se non conoscono l’italiano, hanno ben poche speranze di essere assunti”. La Ruah, in collaborazione con la Caritas diocesana bergamasca, ospita gli otto tunisini, andatisi a sommare ai 63 ospiti già presenti a Villa Quarti; dei pasti si occupa invece il Patronato San Vincenzo. “Ora si tratta di conoscere meglio questi ragazzi: ognuno ha capacità diverse, grazie ai traduttori vedremo di indirizzarli alle carriere con cui possono integrarsi e risultare utili al territorio”.
E di ragazzi si tratta davvero, gli otto tunisini rimasti hanno tutti meno di trent’anni. “Quando sono arrivati non avevano vestiti, né da mangiare, ma la prima cosa che hanno chiesto è stata di telefonare a casa per far sapere alle famiglie di essere sani e salvi”.
La Ruah nel frattempo ha già programmato dei corsi di italiano per loro. L’intenzione è quella di impartire corsi accelerati di lingua, dato che entro il prossimo ottobre scadranno i permessi temporanei. “La verità è che non sappiamo cosa attende questi ragazzi – ammette Goisis -. I permessi non sembrano essere rinnovabili, e trovare un lavoro stabile nel giro di sei mesi è difficile anche per un bergamasco. Se loro devono anche imparare l’italiano, sarà davvero dura”.
Novità sono attese per i prossimi giorni. “Al momento il Ministero dell’Interno non ha destinato altri immigrati alla Lombardia, ma gli sbarchi continuano a Lampedusa ed è logico pensare che altre persone arriveranno a Bergamo in cerca d’aiuto – conclude Goisis -. Ad ogni modo, le nostre strutture sono pronte ed attrezzate per accoglierli”.
 

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