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Don fausto resmini

“Fora di bal” rassicura l’elettorato ma non ?? una soluzione

Il sacerdote di strada racconta sul senso di impotenza che sente di fronte alle migliaia di persone che sbarcano a Lampedusa e parla dell'isolamento dell'Italia.

Don Fausto Resmini, che sentimenti prova di fronte alle migliaia di persone che sbarcano a Lampedusa?
Provo un senso di impotenza – risponde il responsabile del Patronato S. Vincenzo di Sorisole, un sacerdote di strada, abituato a fronteggiare le emergenze sociali – Si resta senza parole di fronte ad un afflusso così massiccio e, per certi versi, anomalo.
In che senso anomalo?
Non credo che tutti vengano in Italia per scappare da situazioni di guerra. Temo che dietro certi movimenti di massa si nascondano anche interessi economici e politici.
Da cosa ricava questa impressione?
Mi colpisce il fatto che siano tutti molto giovani. Quando li guardo mi chiedo: ma sanno dove vanno? Mi viene più facile pensare che siano spinti ad andarsene.
Non è normale che cerchino di cambiare vita? L’Italia, e l’Europa in generale, offrono condizioni di vita migliori rispetto a quelle che lasciano.
Senza dubbio. Ma rischiano di vedere le loro aspettative frustrate. La loro è una domanda forte, ma povera. Non hanno cultura, esperienza, formazione. Anche volendo, non sono facilmente integrabili. E questo pone un problema enorme. Soprattutto perché, complice la crisi economica, di grandi spazi per gli immigrati non ce n’è più. Il rischio è che si scateni una guerra tra poveri. Anche perché l’Italia non trova sbocchi in Europa. Così finiscono imbottigliati, chiusi in un cul de sac potenzialmente esplosivo. Il nostro Paese in questo momento è solo. Inutile negarlo.
Perché?
Ci sono ragioni evidenti che spiegano l’isolamento. Il fenomeno non è stato gestito bene. Siamo stati a guardare, senza mettere in campo subito le iniziative più opportune. Ora ci troviamo a far fronte ad un afflusso di cui non conosciamo né le dimensioni né la durata. E si scatenano controspinte pericolose.
A Lampedusa sono esasperati.
Tutto il Sud rischia di rimanere solo a gestire un fenomeno troppo grande per un intero paese. Sembra debba fare la parte del capro espiatorio.
A vantaggio di chi?
Di mezzo ci sono gli interessi di quelle forze politiche che vogliono difendere l’immagine di difensori del proprio territorio. Con gli slogan tipo “fora di ball” un certo elettorato si sente più tranquillo. Peccato che questa non sia una soluzione.
Cosa dovrebbe fare la politica?
Richiamo un principio elementare: se tutti fanno la loro parte l’accoglienza diventa meno problematica. Rispondere all’emergenza è doveroso, da parte di tutti.
Le Regioni si oppongono.
La cosa più stupefacente è vedere il ministro Maroni impegnarsi a trovare soluzioni concrete e condivisibili e dall’altro lato suoi compagni di partito (i governatori Cota del Piemonte e Zaia del Veneto, ndr) mettersi di traverso per salvarsi la faccia.
Anche le Regioni rosse dicono no all’accoglienza, per la verità.
E’ vero, nessuno vuole assumersi la sua parte di responsabilità. Evidentemente, c’è sfiducia nel governo. Non si crede alla capacità di dare risposta al problema. E allora ognuno pensa più ai voti da non perdere che a dare una risposta a questi uomini in difficoltà.
Le uniche risposte arrivano dalla Chiesa e dal volontariato.
Per ora sono le voci più forti che si sono alzate. Ma stiamo attenti a non equivocare. Non è che si sia favorevoli ad un’accoglienza indiscriminata. Noi pensiamo che si debba dare prima una risposta all’emergenza e poi, però, sia necessario distinguere fra chi ha diritto ad essere accolto e chi va riportato nel suo paese.
Quindi, don Fausto, respinge l’immagine di una Chiesa terzomondista e dalle braccia troppo aperte?
Sì, perché va contro il senso di responsabilità a cui nemmeno la Chiesa può sottrarsi. Aprire le porte a tutti è impossibile e anche ingiusto. Bisogna distinguere, che non significa discriminare.
C’è chi sostiene che la vera risposta va data nei paesi d’origine. “Aiutiamoli a casa loro” è lo slogan.
Questo slogan ha una parte di verità, salvo che ci si ricordi che non tutte le situazioni sono uguali. In Etiopia e in Eritrea, per esempio, è arduo intervenire in loco. Diverso, invece, il caso della Libia e della Tunisia, realtà che possono contare su petrolio e turismo.
E’ innegabile, don Fausto, che stia prevalendo un atteggiamento di chiusura. Siamo diventati egoisti o è una giusta forma di difesa?
L’egoismo non è stato la prima risposta, nemmeno a Lampedusa. Lo è diventato nel momento in cui non si è stati capaci di aggredire l’emergenza, dando risposte tempestive. Fa paura vedere tutta quella gente ammassata in condizioni incivili. E questo è un sentimento comprensibile anche se non giustificabile. Se fossero stati distribuiti subito in diverse zone l’impatto sarebbe stato diverso. Ed oggi saremmo in condizioni di gestire la situazione con umanità ed equilibrio
 

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