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L'intervento

Belotti: usiamo i simboli per rivendicare che esiste una storia bergamasca e padana

Sulle polemiche scoppiate a Calvenzano per la statua di Alberto da Giussano collocata nell'auditorium comunale interviene l'assessore regionale leghista Daniele Belotti.

Sulle polemiche scoppiate a Calvenzano per la statua di Alberto da Giussano collocata nell’auditorium comunale interviene l’assessore regionale leghista Daniele Belotti.

Ci risiamo con le strumentali polemiche contro le iniziative dei comuni a guida leghista. Ora è il turno della scultura di Alberto da Giussano che la giunta di Calvenzano ha collocato nella biblioteca comunale.
Un’opera donata (ripetiamo, è un regalo, quindi costo zero per il Comune) da un giovane artista;  “via il simbolo leghista” tuonano le minoranze. Siamo alle solite: il Sole delle Alpi, l’Alberto da Giussano, il colore verde, il dialetto, non sono patrimonio della Lega, non segni esclusivi di Umberto Bossi, bensì sono simboli della storia e della cultura della nostra terra.
La Lega, fedele alla sua “missione” di salvare dall’estinzione le culture locali, che sono le radici di tutti i popoli, semplicemente li ha a cuore e vuole ricordare, attraverso di essi, che esiste anche una storia bergamasca, lombarda, padana che sui libri di storia imposti dalla didattica romanocentrica non ha mai trovato spazio. E le conseguenze, purtroppo, si vedono: c’è chi grida allo scandalo perché in una piazza viene raffigurato un simbolo antichissimo e molto diffuso nelle regioni padano-alpine, come è il Sole delle Alpi, o addirittura perché ora si posa una statua di Alberto da Giussano. Scusate, ma in passato, qualcuno si è scandalizzato perché venivano intitolate strade e piazze ad Alberto da Giussano, al Carroccio, alla Lega Lombarda (ci sono perfino a Roma)? Qualcuno ha mai osato cancellare il Sole dalle Alpi raffigurato su antiche chiese, palazzi, arredi?
E ancora: alzi la mano chi, a scuola, ha studiato che i bergamaschi discendono dai celti, oppure che gran parte della nostra provincia è stata per quasi quattro secoli parte della Serenissima. Per non parlare del giuramento di Pontida e della Lega Lombarda: un fatto storico che ha cambiato la storia d’Europa e che è ridotto a poche righe. E i cartelli in dialetto? Qui si scatenano i radical chic e i retorici nazionalisti: i primi, sinistri, li bollano come “simboli di chiusura verso chi viene da fuori” (demenziale affermazione dell’ex sindaco di Bergamo Roberto Bruni), salvo poi, invece, apprezzarli quando sono posti in altre realtà come Catalogna, Paesi Baschi, Bretagna, Corsica, Valle d’Aosta ecc. (non citiamo la Valle Gardena, dove i cartelli sono addirittura trilingue – a proposito, mai visto uno dei milioni di turisti che la visitano scandalizzarsi per le diciture in tedesco e ladino).
I secondi, invece, non hanno ancora ben compreso i danni che ha fatto sulle identità locali l’italianizzazione forzata portata avanti nel Ventennio.
Evitiamo, per favore, le ridicole accuse sull’uso del colore verde nelle scuole o sulle strisce pedonali. Bisogna forse togliere il verde dalla tavolozza? Scuole, ospedali sono sempre stati dipinti (chissà perché) di un verde pastello, ora se lo fa un sindaco leghista non va più bene perché è un marchio politico. Le strisce pedonali? Sono omologate. Meglio il verde che ricorda un prato che il grigio dell’asfalto, o no? E per fortuna che nessuno ancora ha contestato il verde dei semafori.
Permettetemi una domanda: cosa è più grave, la scientifica okkupazione della scuola, l’arbitraria cancellazione dai libri di testo di fatti storici (foibe docet), l’intitolazione di vie a criminali storici come Stalin, Tito, Lenin, Mao, l’umiliazione delle lingue locali, oppure la scultura di un personaggio (vero o presunto che sia) come Alberto da Giussano ha guidato le città lombarde alla libertà, la raffigurazione di un simbolo, il Sole delle Alpi, patrimonio storico culturale da millenni della nostra terra, o un cartello con il toponimo in dialetto?

Daniele Belotti
Consigliere regionale Lega Nord

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