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“Gli annunci mirabolanti di Calderoli il tagliatore”

Pubblichiamo il commento che Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, gli autori del fortunato libro "La casta", hanno dedicato sul Corriere della Sera alla proposta del ministro bergamasco Roberto calderoli di ridurre del 5% gli stipendi dei parlamentari.

Pubblichiamo il commento che Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, gli autori del fortunato libro "La casta", hanno dedicato sul Corriere della Sera alla proposta del ministro bergamasco Roberto calderoli di ridurre del 5% gli stipendi dei parlamentari.

E dovremmo esultare? A leggere le mirabolanti proposte di Roberto Calderoli di un taglio del 5% dell’indennità di parlamentari e ministri come segno di compartecipazione alle sofferenze di un Paese esposto, probabilmente, a una manovra pesante, c’è da restare stupiti. Sia chiaro: ogni segnale di consapevolezza delle difficoltà è benvenuto. E non c’è dubbio che un taglio reale nelle buste paga di quelli che Einaudi chiamava «i Padreterni» sarebbe indispensabile prima che il governo infligga nuovi sacrifici ai cittadini. La proposta del ministro leghista, però, è in contraddizione così clamorosa con una lunga serie di scelte opposte da apparire, salvo radicali integrazioni, uno specchietto per le allodole. Ad esempio: il taglio del 5% (peraltro sei volte più basso di quello chiesto da una parlamentare della sinistra) va inteso sull’indennità in senso stretto o sulla busta paga vera, che comprende una serie di diarie, rimborsi, prebende? La differenza, dimostrò l’onorevole rifondarolo Gennaro Migliore facendosi fotografare con la sua prima cedola, è sostanziale: da poco più di 5 mila a 14.500 euro netti.
Se il taglio fosse, come par di capire, sull’indennità pura, il risparmio reale ottenuto con la sforbiciata su tutti i deputati e senatori (una volta tolte le tasse, che finirebbero comunque allo Stato) sarebbe di 4.800.740 euro. Una briciola, rispetto ai costi del Palazzo. Per non dire della sforbiciatina alle retribuzioni dei ministri, che sono solo integrazioni allo stipendio parlamentare: 53.040 euro. Il costo di 7 ore di volo degli aerei blu. Che come è noto, dopo la stretta in seguito alle polemiche infuocate sulla gita di Clemente Mastella col figlio a Monza, sono ripresi con un andazzo che appare perfino superiore al 2005, quando quegli aerei volarono mediamente per 37 ore al giorno costando complessivamente 65 milioni di euro. E scriviamo «appare» perché la già scarsa trasparenza su quei voli è stata totalmente abolita. Ben vengano, tagli veri alle indennità. Ma vogliamo ricordare i numeri che contano sul serio? Prendiamo il Senato. Con la proposta del ministro, resterebbero nelle casse pubbliche 1.742.860 euro. Cioè meno di un quarto di quanto Palazzo Madama costerà quest’anno in più rispetto al 2009. La scelta del Quirinale e di Montecitorio di rinunciare all’adeguamento dell’inflazione dell’1,5%, lì, non è passata. Morale: la camera alta, che pesava sui bilanci per 420 milioni 940mila euro nel 2001, ha pesato l’anno scorso per 594 milioni e 500 mila. Un’impennata complessiva in nove anni del 41,23%. Sono dati pesanti. Accompagnati da altri «dettagli» che sconcertano. Come l’inarrestabile dilagare degli spazi. Sapete quanti sono oggi, scusate il bisticcio, i palazzi di Palazzo Madama? Undici. Più i garage e i magazzini. Per un totale di 90 mila metri quadri, 280 per ogni senatore. Domanda: è vero che è interesse degli italiani che i loro rappresentanti vengano messi in condizione di lavorare al meglio, ma non saranno troppi nove ettari di uffici, buvette, emicicli, affreschi, stucchi?
C’è chi dirà: due di questi palazzi, quello di largo Toniolo e quello dell’istituto Santa Maria in Aquiro, non sono ancora a disposizione. Peggio. Infatti il primo, comprato dalla società di un senatore in carica (sic!), alla fine costerà 22 milioni ed è tuttora in ristrutturazione. Il secondo, in restauro da altri sette anni a spese dei contribuenti per 25 milioni, resterà alla fine di proprietà dell’istituto religioso che dal 2003 già incassa 400 mila euro l’anno di affitto. Ne valeva la pena? E in ogni caso: a fronte di spese così forti, è proprio normale che l’assemblea si sia riunita quest’anno in 47 giorni su 136? Certo, poi ci sono le commissioni, le missioni, tante altre attività. Ma possibile che mai una volta (mai) ci sia stata una seduta di lunedì e mai (mai) di venerdì?
In un’intervista a La Stampa, Roberto Calderoli dice: «Bisogna che cominci a pagare chi non ha mai dato o chi ha preso troppo. Le cicale, anzi le cicalone». «E cosa aspettate?» gli chiede Ugo Magri. «Stiamo già facendo. A gennaio abbiamo segato qualcosa come 50 mila poltrone negli enti locali. Poi abbiamo tagliato gli stipendi dei consiglieri regionali». Spiccioli? «Macché, in certi casi sono stati ridotti a un quinto. Arrivavano a prendere 25 mila euro mensili, ora al massimo 5 mila 400». I dati ufficiali pubblicati dalla Conferenza dei presidenti delle assemblee legislative delle regioni e le province autonome dicono una cosa diversa. Dicono che rispetto a due anni fa, quando infuriava la polemica sui costi della politica, l’unico taglio netto risulta essere quello del governatore pugliese Nichi Vendola. Tutto il resto è rimasto come prima. Quanto alle poltrone tagliate, ha già risposto l’Anci: ridurre consiglieri comunali che prendono 4 euro di gettone a seduta non risolve nulla. Quelli che pesano, piuttosto, sono i 38 mila stipendiati (a volte lussuosamente) che secondo la Corte dei conti e l’Unioncamere, siedono nei consigli di amministrazione delle società pubbliche o in qualche modo partecipate dallo Stato. Cosa è stato toccato su quel fronte e su quello delle Authorithy recentemente salite a dieci con 2500 dipendenti? Per non dire di quanti accumulano poltrone, tra i quali il recordman è Daniele Molgora, deputato, sottosegretario e presidente della provincia di Brescia. Leghista. Ben vengano, le sfuriate contro «i capoccioni vari, manager pubblici, presidenti delle authority… Gente che prende il doppio del presidente del Consiglio». Il tetto ai loro stipendi, però, c’era: circa 290 mila euro lordi. E chi fu ad abolirlo, con una serie di deroghe che lasciano spazio a tutto, se non il governo di chi oggi invoca una svolta?

Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella

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