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Pizzaballa, i 70 anni della figurina introvabile

Il quotidiano Il Messaggero dedica un articolo ai 70 anni di Pierluigi Pizzaballa, portiere che vest?? la maglia dell'Atalanta, famoso anche perch?? nella raccolta Panini la sua figurina era introvabile.

Il quotidiano romano Il Messaggero dedica un articolo ai 70 anni di Pierluigi Pizzaballa, portiere che vestì le maglie dell’Atalanta e della Roma, famoso anche perchè nella raccolta Panini la sua figurina era introvabile.

di Marco de Martino
Il “figurino” Pierluigi Pizzaballa compie 70 anni e per tutta una generazione di fedeli, che l’ha cercato una vita senza trovarlo mai, è un colpo forte perché è come tornare indietro nel tempo e rimettersi all’inseguimento.
“Celò, celò, mi manca” è stato il tormentone dei collezionisti dell’epoca che si sono dati battaglia a muretto o a soffio, passando pomeriggi interi a spareggiare per poi tornare sempre al punto di partenza (“mi manca Pizzaballa”). Certo che il destino a volte sa essere crudele, uno gioca 275 partite in serie A, diventa un grande portiere, arriva persino in Nazionale, e poi diventa Immortale grazie a un album.
Il problema era semplice, il controsenso evidente: la domenica dentro la porta c’era sempre lui, ma poi dentro il pacchetto delle figurine non c’era mai lui, come fosse veramente un campione “fuori catalogo”, tanto che in Italia, da Vipiteno a Capo Passero, il buco sull’album per qualcuno diventò un rettangolo vuoto, un buco nell’anima chiamato la “sindrome Pizzaballa”.
«Il fatto è che a quei tempi il fotografo della Panini veniva una volta sola nel ritiro precampionato e io una volta ero infortunato, una volta ero militare, e quindi per un paio di anni saltai il turno. L’Atalanta era anche la prima squadra dell’album, io ero il primo giocatore della squadra, e così prima che riprendesse il giro diventai introvabile. Ovviamente non mi possiedo nemmeno io, anni fa incontrai il commendator Panini e ci facemmo un sacco di risate, poi sono stato “ristampato”, in ogni caso ho saputo che c’è un professore di Avellino che di Pizzaballa originali ne ha ben due, e ogni anno che passa il valore di quelle figurine aumenta».
Parliamo dei campionati 62-63 e 63-64, quando Pizzaballa era già la “Saracinesca di Bergamo”, “l’Angelo biondo”, un giovane di talento: «Guardi, da una parte mi fa anche piacere questa cosa dell’album, ma dall’altra certo no perché io ho dato qualcosa al calcio. Ho giocato con Atalanta, Roma, Verona, Milan e di nuovo Atalanta, ho fatto 275 partite in serie A, ho vinto due Coppe Italia e fatto anche una partita in Nazionale, più i Mondiali del 1966. Che poi come figurina valevo come dieci Rivera e venti Mazzola è un altro discorso…».
Il Pallone d’Oro delle figurine cominciò grazie a prete di campagna: «Facevo il garzone a Verdello e giocavo all’oratorio, il parroco don Antonio mi veniva a prendere di nascosto in panetteria con la sua moto Guzzi Falcone e mi portava a fare i provini con le rappresentative regionali, mi ricordo il vento sui capelli, lui che si metteva i giornali sul petto per il freddo, la sua tunica che mi svolazzava in faccia, fino a quando mi prese l’Atalanta. Un giornalista mi disse “con quel nome non andrai lontano” e invece sono diventato bravo. Ed ero acrobatico, guardi le foto, mica uno dei tanti».
Ventidue anni da numero uno, dai 19 ai 40 a guardia di una porta, otto anni a Bergamo e poi a Roma: “Aò Pizza, oggi nun famo scherzi…” mi urlavano i tifosi, ma sono stati tre anni bellissimi, mi ero appena sposato ed ero orgoglioso di arrivare dopo Cudicini, anche se la società veniva dalla colletta al Sistina e non giravano tanti soldi. A Roma ho avuto due allenatori incredibili, anche se diversi. Prima Oronzo Pugliese che correva sulla fascia nelle azioni di attacco insieme alla squadra; e poi il grande Herrera che con il suo taca la bala è stato un precursore del pressing. E pensare che era lui, un aiutante e basta, mentre ora Mourinho ha uno staff di dieci persone. Ah, che tempi».
Per i ricordi, in effetti, più che un taccuino ci vorrebbe un lenzuolo: «Ne ho viste tante, anche bruttissime. Taccola che muore a Cagliari, si sente male in tribuna e poi quando rientriamo a fine partita lo troviamo sul lettino degli spogliatoi, nessuno è riuscito a farlo riprendere, un dramma inspiegabile. Oppure ai Mondiali in Inghilterra il fiasco con la Corea, Bulgarelli che si fa male, noi che restiamo in dieci, ci mangiamo cinque gol, dovevamo vincere 5-0 e invece segna Pak Do Ik, che però non era un dentista, quello lo avete inventato voi. Sono stato anche il portiere di quel famoso Verona-Milan 5-3, la celebre “fatal Verona” che vista da dietro fu incredibile, ogni tiro facevamo gol e io giocai alla grande tanto che l’anno dopo andai al Milan».
Rivali? Colleghi? «Il più grande portiere di tutti i tempi è stato sicuramente Yashin, un fenomeno tra i pali e una velocità incredibile di chiusura a terra anche se era altissimo, diciamo che fargli gol era quasi impossibile. In Italia invece l’immenso Zoff, anche se quello che ho visto fare in allenamento ad Albertosi ce l’ho ancora negli occhi. Se avesse avuto un’altra testa sarebbe stato il più grande di tutti».
Oggi il ruolo si è un po’ perso: «Dopo Buffon sarà dura, forse Marchetti, vediamo il nostro Consigli, il mio maestro Ceresoli mi diceva che dovevi capire l’azione, anticipare, e nell’uscita imparare bene prima la tecnica. Io una volta parai a De Sisti due rigori in un minuto, ma la parata più bella la feci contro il Genoa su colpo di testa di Pruzzo l’anno della promozione in A dell’Atalanta. Ora sono il responsabile della scuola calcio dell’Aurora Seriate, una bella realtà; e poi faccio vino, un bel rosso del colle della Maresana. Sono felice, quel buco vuoto della figurina l’ho riempito. Non mi “manca” niente».

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