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In libreria la raccolta dei suoi articoli più belli

Titta, l’inviato con il vento in faccia fotogallery

Girovago per natura e sciupafemmine per grazia ricevuta, Titta Pasinetti, inviato de Il Giornale, ci regala uno spaccato di varia umanit??: dal clochard alla Costa Smeralda, dal doping nel ciclismo al festival di Sanremo, da una incursione in casa Ruggeri al racconto della sua ultima battaglia.

di Pier Carlo Capozzi

Curioso. Ecco, se dovessi spendere per Titta un aggettivo solo, io spenderei “curioso”.
Non esisteva argomento, sulla faccia della terra, che non meritasse il suo interessamento. Forse per questo è uno straordinario giornalista. Lo continua ad essere grazie ad Antonella Antonello, sua amica da sempre, alla quale chiese di raccogliere i suoi articoli e di farne una pubblicazione. Fu un desiderio nato dalla disperazione, quando capì che non ce l’avrebbe fatta, quando, per usare le sue parole, si rese conto che non sarebbe stato possibile “parare tutti i rigori”.
Titta Pasinetti, fino a quel momento, aveva vissuto a tremila all’ora, sempre con il vento in faccia. Girovago per natura e sciupafemmine per grazia ricevuta. E non s’era fatto mancare niente nemmeno durante la malattia, periodo in cui cambiò decisamente parere su molte situazioni. Periodo che ha vissuto andando a cercare gli amici che aveva scoperto essere veri. Titta era un laboratorio di idee e sentimenti in perenne funzionamento: non esistevano soste, scioperi o chiusura per ferie.
Molti, tra i suoi tantissimi scritti più belli, sono nati in un giorno di corta (il riposo dei giornalisti) oppure durante una settimana di ferie.
Prendete, per esempio, il libro e andate a pagina 112: vi troverete la più incredibile ed esilarante, solo per chi legge, cronaca di una traversata sul traghetto che collega Cagliari a Trapani. “Il mitico traghetto…Il padrone è un posteggiatore, tu non sei più un uomo, sei una targa: “Milano vieni, Milano frena, Catania ‘ndo vai? T’ho detto aspetta. Genova più contro…”
La bellezza descrittiva dei racconti di Titta ti mette in condizione di vedere la scena, come se fossimo al cinema. Ma lui, oltre alla penna brillante, aveva un fiuto per la notizia che era un misto di abilità e preveggenza.
In una delle nostre notti, quando ci si vedeva da me insieme ad altri carbonari che non conoscevano il sonno, ci fece morir dal ridere raccontando come, fingendosi un tifoso all’aeroporto, aveva carpito al presidente catanese Massimino, nell’estate del 1983, i nomi dei due brasiliani appena acquistati. Il presidente non se li ricordava ed estrasse dalla tasca un bigliettino: c’era scritto Pedrinho e Luvanor, Titta lesse e diede la notizia per primo.
Una vicenda analoga la trovate a pagina 151, il suo incontro casuale con Oliseh, appena acquistato dalla Sampdoria. Ma Titta è stato soprattutto l’inviato per “Il Giornale” a un sacco di Giri d’Italia e Tour de France, uno dei primi (il primo?) a scoperchiare il pentolone del doping. Quando morì, il 12 aprile 2003, il solo Marco Pantani, di quel mondo, gli dedicò un necrologio pieno di affetto.
Poi ci sono i racconti di cronaca, come il delicatissimo ricordo del clochard di Foro Buonaparte, a Milano, morto assiderato e dimenticato, ma non da lui.
E poi le cronache dal Festival di Sanremo dove stravede per Patty Pravo e canzona le forme della Marini. E poi ritratti da mandare a memoria, Bagnoli, Capello, De Mita, Buffon.
Bergamo, nel libro, offre il suo contributo con uno strepitoso affresco nella villa di Ivan Ruggeri, ex corridore ciclista, con famiglia al completo, appena insediatosi presidente dell’Atalanta: “In bicicletta ho imparato una cosa: nella vita bisogna soffrire, mai mollare.”
La pelle d’oca è del tutto comprensibile.
E poi quel suo ultimo articolo, in prima pagina, da malato in difesa dei malati, in cui implora che nessuno crei attorno a loro false illusioni.
Antonella, nel proibitivo compito di dover scegliere, quindi scartare, ha avuto il merito di impaginare righe di un’attualità sconcertante, anche a distanza di anni.
Come lui beveva la vita tutta d’un sorso, così noi beviamo le sue pagine allo stesso modo: è un libro da regalare a chi l’ha conosciuto, ma soprattutto a chi non lo conosceva.
Quella domenica di novembre, il suo ultimo novembre, era davvero spettacolare e Titta mi chiese di pranzare insieme al Baretto, su a San Vigilio: Beppe ci fece apparecchiare in terrazza, cambiando il tavolo tre volte per rincorrere gli ultimi raggi di sole. Titta si sentiva coccolato e, forse, allontanò per qualche momento l’angoscia del domani.
Ogni anniversario torniamo a San Vigilio, insieme a sua mamma Teresa, perché lui ha voluto così. E dopo la messa c’è il brindisi in suo ricordo, il prosciutto, il risotto, il tiramisù. Io guardo quella terrazza e mi sembra che mi manchi qualcosa. 

Titta Pasinetti
“Dal nostro inviato”
Edizioni Biblioteca dell’Immagine
Euro 12

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