La difesa di Alì Ndiogou (nella foto), il senegalese di 41 anni accusato dell’omicidio di Maria Grazia Pezzoli il 24 luglio 2008 a Vertova, ribadisce con fermezza la propria linea e fa emergere nuovi particolari sul caso, a distanza di quasi un anno: "Alì Ndiogou è innocente, non c’entra con l’omicidio – ha dichiarato l’avvocato Giovanni Fedeli -. Non basta la prova del dna che fa corrispondere un paio di gocce di sangue trovate fuori dalla casa della vittima con il profilo genetico del mio assistito. L’aggressione alla donna, cruenta e durata almeno quattro o cinque minuti, è avvenuta all’interno dell’abitazione. E ci sembra impossibile che una persona, presumibilmente ferita, mentre aggredisce e sferra 30 coltellate ad una donna non perda nemmeno una goccia di sangue. Perchè il punto è qui: non è stata trovata alcuna traccia biologica di Alì Ndiogou in quella casa di via Cinque Martiri. E non sono state trovate impronte digitali. Il sangue fuori dall’abitazione non è assolutamente sufficiente a dimostrare la presenza di Ndiogou sul luogo del delitto, ovvero all’interno della casa, dove c’è sangue della vittima ovunque: fin dal piano superiore, a partire dalla camera da letto, per poi scendere lungo le scale, arrivare al piano terra e allo studio vicino all’ingresso dove il corpo della donna è stato ritrovato".
Sangue un po’ ovunque in quella casa, secondo la difesa. Particolare, quest’ultimo, che non era mai emerso e che anche la difesa di Giuseppe Bernini, marito della vittima che trovò per primo il cadavere, questa mattina in tribunale (3 luglio) non ha negato del tutto: "Dalle carte processuali non risulta la presenza di sangue anche al piano superiore o sulle scale" ha commentato laconico l’avvocato Antonio Cassera, ribadendo "dalle carte processuali". Ma l’avvocato di Alì Ndiogou ha parlato con certezza di foto scattate sul posto dagli investigatori che dimostrerebbero la scia di sangue dalla camera da letto alle scale e al piano inferiore.
"Non è dimostrabile la presenza di Ndiogou e ricordo che, dalle testimonianze raccolte, si parla di due persone di colore che sarebbero state viste uscire dall’abitazione – ha aggiunto l’avvocato Fedeli – vestite in modo diverso. Chi erano? Se uno dei due è l’assassino per noi non si tratta certo di Alì. Andremo al processo per ribadire questo".
Le dichiarazioni degli avvocati sono arrivate dopo la puntata dell’udienza preliminare, di fronte al Gup Vittorio Masia, svoltasi il 3 luglio in tribunale. Il pubblico ministero Carmen Pugliese ha ribadito che secondo l’accusa l’operaio senegalese è colpevole dell’omicidio, e la prova del dna (sangue fuori da casa ma anche sudore di Ndiogou su un lembo di pantaloni impregnati di sangue della vittima) sarebbe schiacciante.
L’udienza è stata aggiornata al 15 luglio. Tra gli indagati, per favoreggiamento personale, anche il marito della vittima Giuseppe Bernini e un connazionale di Ndiogou, che aveva ricevuto dall’amico una telefonata e gli aveva prestato un motorino, proprio in quei giorni; di falso ideologico e concorso in sottrazione di cose sottoposte a sequestro dovrà invece rispondere Ignazio Grinciari, maresciallo comandante della stazione di Fiorano al Serio (il sabato successivo all’omicidio permise a Bernini di entrare in casa a prendere alcuni indumenti).
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