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Le delusioni

Da Olajkar a Costinha, quanti oggetti misteriosi nella storia nerazzurra

Il portoghese ?? solo l'ultimo dei presunti fenomeni venuti dall'estero. Il primo fu l'ungherese, che a Bergamo si vide pi?? in osteria che in campo. Fu seguito da una pattuglia di schiappe sudamericane, da Sabbatella a Cancela. Negli anni '80 tocc?? ai bidoni venuti dal Nord: Larsson e Peters. L'ultima meteora fu il greco Liolidis.

L’ultimo, in ordine di tempo, è Francisco Josè da Costa detto Costinha. Triennale in tasca e curriculum di tutto rispetto, scudetti e Coppa Uefa con il Porto del vate Mourinho, ma per il resto non pervenuto. Una sola presenza in maglia nerazzurra, un lungo infortunio di mezzo e una fiammante Lamborghini come status symbol: il ritratto del separato in casa. Il front office dell’Atalanta vorrebbe la rescissione del contratto. Forse perché nelle orecchie dei dirigenti la parola “bidone” riecheggia con costanza quasi ossessiva.
La lunga e gloriosa storia del sodalizio all’ombra delle Mura, dopo tutto, riporta un elenco abbastanza lungo di “meteore”. Ovvero di calciatori pescati all’estero e accolti da chissà quali aspettative, ma dimostratisi vere e proprie bufale alla prova del campo. Che di solito hanno visto ben poco, magari comodamente seduti in tribuna. Il primo della serie è il semisconosciuto Sandor Olajkar. Una figura sbiadita, che all’epoca fece comunque scalpore: l’attaccante ungherese, prelevato nel 1946 dalla gloriosa Honved insieme al più quotato Kincses, in una stagione raccattò la miseria di 7 partite, segnalandosi soprattutto per la puntuale presenza in bar e osterie. Una fama da bevitore che l’accompagnò anche al Lecco, in C, dove era stato prontamente sbolognato: tornato in patria, di lui non si saprà più nulla fino alla tragica notizia della sua morte nel 1956, durante la rivoluzione ungherese.
Un salto in avanti, ed ecco che dalle nebbie del passato spunta la coppia Josè Garcia-Mario Sabbatella. Correva l’anno 1955. Centrocampista uruguaiano con sei stagioni di A alle spalle il primo (in maglia Bologna), presunto sfondatore argentino il secondo, reduce da 5 anni con la Samp. Risultato? 13 presenze e 1 gol il rifinitore, 12 e 2 l’attaccante. Per due stranieri così, tutto denaro sprecato: e alla fine, con “Cina” Bonizzoni in panchina, arrivò una salvezza sofferta solo grazie ai gol (18) dell’italianissimo Adriano Bassetto. Ancora peggio fece l’anno seguente un altro rioplatense, Nelson Cancela da Montevideo: ingaggiato per sostituire un estroso interno di punta come il danese Rasmussen, il lentissimo ex del Cerro Porteno durò lo spazio di 9 partite con un solo gol all’attivo. E puntualmente, a fine stagione, riportò in patria le sue movenze da bradipo d’area di rigore. Nel 1964, invece, la palma del fiasco dell’anno tocca al paulista Roberto Battaglia, girato in prestito dalla Juve: una scena muta di sei partite senza mai inquadrare la porta.
Dopo il lungo digiuno di pelandroni forestieri, alla riapertura delle frontiere negli anni Ottanta le schiappe di marca sudamericana cedono il posto ad omologhi con i capelli biondi. Il 1984 segna l’arrivo della bandiera Stromberg dal Benfica, ma assieme a lui c’è l’impalpabile connazionale Lars Larsson: altro centravanti inutile (4 partite, 0 reti), e per fortuna alla salvezza dell’undici di Sonetti ci pensano Pacione e Magrin. Passa appena un anno e l’Atalanta pesca un po’ più a sud, ma l’olandese Johannes Peters (prelevato dal Genoa) s’iscrive a tabellino la miseria di 8 volte (1 gol) dimostrando di essere alla frutta.
La decade successiva, dopo l’addio di Mondonico (artefice del sesto posto del 1989), dopo i Caniggia gli Evair vede la solita sfilata di mezze calzette. Come il pachidermico argentino Leo Rodriguez (30 partite e due soli gol dal 1992 al 1995) e l’imberbe colombiano Ivan Valenciano, assi al contrario della stagione lippiana (1992/93) risolta dal genio di Maurizio Ganz. Oppure il francese Franck Sauzée, reduce dalla vittoria in Coppa Campioni con il Marsiglia ma puntuale regista del fiasco guidoliniano (retrocessione in B) un anno più tardi. Non decollò certo a Bergamo la carriera del puntero uruguagio Magallanes, che accompagnò la squadra in B nel 1998 dopo aver infilato la porta 3 volte in due annate disastrose, anche se misteriosamente risucì a riciclarsi nel Torino pur senza sfondare. Nel 2002, infine, la sciagura assume le sembianze levantine di Apostolos Liolidis: due apparizioni e hop, via a gennaio, per le fortune dell’Alzano Virescit. Dodici presenze e 7 reti che non salvarono la società. Un portafortuna di quelli rari: alla fine dell’anno retrocesse pure l’Atalanta…
 

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