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L'intervista

Crisi, anche Bergamo soffre Radici: ?? finita un’epoca, si deve ripartire da zero

Le difficolt?? della valle Seriana, e in generale dell'industria bergamasca, vengono da lontano secondo l'imprenditore leader dell'omonimo gruppo. "Dobbiamo ripensare daccapo le nostre aziende e ridimensionarci. Nuovi sbocchi solo nel turismo, nel terziario e nei servizi". La congiuntura negativa non durer?? meno di un anno e mezzo.

E’ l’imprenditore più conosciuto di quella Valle Seriana che, piegata dalla crisi, questa settimana si mobilita con iniziative che culmineranno nello sciopero di giovedì. Miro Radici qui è nato e cresciuto, qui ha mantenuto le basi di un gruppo che è diventato multinazionale. Da protagonista, prima ancora che da testimone, traccia per Bergamonews un quadro della situazione. E lo fa con un’analisi senza sconti, che mette in discussione vecchie certezze. Che parte da un assunto non facile da digerire: bisogna ripartire da zero.
Non passa giorno senza che i giornali diano conto di una crisi aziendale. Cento dipendenti in mobilità di qui, altri 150 in cassa integrazione di là. Sembra una Via Crucis. Cosa sta succedendo?
Nei giorni scorsi il ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha detto che non bisogna parlare di fase di recessione ma di "rottura". Forse non è vero per tutti i settori, ma se ha ragione lui questo significa che dobbiamo ripensare completamente le nostre aziende. Bisogna ripartire da zero. Per il tessile, e quindi il meccanotessile che vi è legato, siamo probabilmente alla fine di una esperienza.
Vuol dire che il destino è segnato?
Sì, lo ripeto: dobbiamo ripartire daccapo. Io lo sostenevo da anni che certi tipi di produzione non avrebbero avuto futuro. Solo la cocciutaggine degli imprenditori della nostra terra ha consentito di tirare avanti. Ma oggi siamo arrivati al capolinea. Le vie d’uscita possono essere due: o puntare su marchi eccellenza (come hanno fatto Zegna e Loro Piana) o strutturare una filiera produttiva che arrivi fino alla vendita. Un tempo il valore aggiunto era dato dalle materie prime, oggi conta la vendita, il marketing, il servizio al cliente. Comunque, non è soltanto il tessile a soffrire. Da quest’estate la crisi è generalizzata.
Abbiamo già toccato il fondo o ci attendono mesi ancor più duri?
Da settembre si registra un blocco pressochè totale degli ordini. Fino all’estate c’erano settori che andavano bene, altri che galleggiavano e altri ancora in difficoltà. Poi, all’improvviso, complice l’esplosione della crisi finanziaria, si è fermato tutto. Ed ora a soffrire è l’economia reale. E’ un momento difficile, non c’è dubbio. Dire quanto durerà è complicato. Certo, non basterà qualche mese…
Di fronte ad una situazione del genere un imprenditore si chiederà anche dove può aver sbagliato. 
L’imprenditore questa domanda se la pone tutti i giorni, anche quando le cose vanno bene. Altrimenti farebbe bene a cambiare mestiere. 
Ma era così imprevedibile questa crisi?
I giornali internazionali, per la verità, ne hanno parlato con largo anticipo. Quelli italiani, tutti presi a raccontare i litigi tra Veltroni e Di pietro, non se ne sono accorti. Sia chiaro, però, che la portata di questa crisi non era assolutamente né prevista né prevedibile. Prendo l’esempio delle nostre aziende. Noi abbiamo clienti in diverse area del mondo. Bene, neanche si fossero messi d’accordo, all’improvviso tutti insieme hanno bloccato gli ordini. Evidentemente, perchè a monte anche a loro era successo qualcosa. Questo dà l’idea dell’enormità del problema. E sfido chiunque a dire che lo aveva previsto. 
Assistiamo ad un crollo totale dei consumi?
Penso proprio di sì. Noi abbiamo 400 negozi di abbigliamento sparsi tra la Germani e i paesi dell’Est. Da settembre pare che la gente faccia più fatica ad entrare.
Soffre, quindi, anche chi ha puntato sulla diversificazione e sulla globalizzazione?
Ci sono stati dei vantaggi in passato, ma quando la crisi è mondiale non ce n’è per nessuno. E’ cambiato tutto. Una volta se si verificava una crisi in Europa potevi pensare di recuperare margini in Cina. O viceversa. Oggi siamo tutti, o quasi, in ginocchio perchè l’interdipendenza è tale che nessuno può essere immune dalle tempeste finanziare e dal calo dei consumi. 
Insomma, nemmeno Cina e India servono più a molto?
In questo momento no perchè stanno vivendo la nostra stessa situazione. Hanno dei tassi di crescita ancora buoni, ma non tali da assorbire le nostre necessità. 
Ha ancora senso investire in Asia?
Un’azienda non può pensare di sopravvivere se dimentica Cina e India: Se non sei forte là non puoi esserlo da nessuna parte. 
Torniamo all’origine della crisi. Di chi è la colpa: solo dei banchieri?
La finanza creativa, se usata con intelligenza, poteva essere un motore di crescita. E forse, se ragioniamo pacatamente, per un certo periodo lo è stata, perchè ha garantiuto maggiori margini. Solo che alla fine è degenerata in speculazione. Ha creato un boom rivelatosi poi un boomerang. Quella che stiamo attraversando avrebbe potuto essere una normale crisi congiunturale se non fosse che è stata aggravata dalla tempesta finanziaria. E ciò rende tutto più difficile. 
Anche in Bergamasca, dicevamo, molte aziende sono in difficoltà. Si ricorre sempre più spesso alla cassa integrazione. 
In questo momento è il male minore. Dobbiamo, e ancor più dovremo in futuro, ridimensionarci. Non c’è altra soluzione. E’ l’unico modo per farci trovare pronti quando i mercati ripartiranno. Certe dimensioni non sono più sostenibili, alcune produzioni andranno abbandonate. E l’occupazione ne risentirà. 
Tradotto significa che molti perderanno il lavoro. 
Bisogna metterlo in conto, nella speranza di trovare nuovi sbocchi. Per quel che riguarda noi imprenditori, posso solo dire che abbiamo il dovere di ripensare da zero le nostre aziende. Lo stesso vale per i dipendenti. Se non si modificano vecchie abitudini, si rischia grosso. 
Ergo, occorre pensare ad una ricollocazione. 
Lo vado dicendo da anni. Ricordo che nel 2004 a Montezemolo, allora presidente di Confindustria in visita a Bergamo, chiesi: cosa possiamo fare per la nostra Valle? Lui mi rispose in un modo che mi parve riduttivo. E invece, devo riconoscere che il mio scetticismo era eccessivo. Bisogna buttarsi sul turismo, sui servizi. Operazioni come quella di S. Pellegrino fortemente voluta da Antonio Percassi vanno nella direzione giusta. Forse noi bergamaschi dobbiamo credere di più nelle potenzialità di questo settore. In Svizzera fanno miracoli con poco. Noi abbiamo uno straordinario patrimonio storico, artistico, ambientale: perchè non dobbiamo sfruttarlo fino in fondo?
Per l’industria manifatturiera non c’è futuro?
Sì, ma non prendiamoci in giro. Si continua a parlare di innovazione, ma guardate che la fanno anche in Cina e in India. Anzi, loro mandano i giovani a studiare nelle migliori università americane, noi ci accontentiamo delle nostre che lasciano a desiderare. 
Lei è nato e cresciuto in Valle Seriana: Cosa prova di fronte a questa "smobilitazione" industriale?
Non ci dormo la notte. Tuttavia, credo che negli ultimi dieci anni si sia fatto poco, a tutti i livelli, per cercare di mettersi al riparo da una piena che era abbondamente annunciata. 
In generale, quanto durerà questa crisi?
Secondo me dovremo soffrire per almeno un anno e mezzo, anche se mi auguro di sbagliarmi. Per uscirne tutto il sistema deve interagire e rimettersi in discussione. Niente sarà più come prima.
   

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