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Cinema

Locarno

Le recensioni dei film del 7 agosto

Occhi puntati sull’argentino “El Sueno del Perro” e sul francese “Plus Tard tu Comprendras”

El Sueno del Perro

(il sogno del cane) di Paulo Pecora, argentina 2008.

un film quasi senza dialoghi pervaso di introspezione e riferimenti psicanalitici, una riflessione sul dolore eppure un film con molta bellezza e facile da apprezzare.

Paulo Pecora mette in scena, con una fotografia curata fino al punto di divenire la vera voce narrante dell’opera, una storia di umana disperazione e di possibile redenzione: unoscrittore argentino colpito da una terribile disgrazia, nonriesce più ad affrontare la vita,  medita il suicidio, ma qualcosa, lentamente lo scuote: è l’incontro con la natura, che egli ricerca in suo casolare in campagna, e con alcuni dei “segni di vita” che circondano quela natura.

il graduale rientrare in contatto con l’umanità del protagonista è rappresentato tanto dall’incontro con i pochi abitanti dei dintorni, in particolare un ragazzino timido, finito chissà come nell’isolamento della foresta ad accudire da solo il nonno morente, quanto dalla presenza indecifrabile di un cane semi selvatico, osservatore muto ma sempre presente, i cui occhi sembrano garantire la realtà della vicenda piuttosto che il sogno mezionato nel titolo.

Il tutto sulle rive di un grande fiume che si presenta, tanto nella realtà quanto nei sogni, di volta in volta come acquitrino, come paludo, come massa d’acqua opaca e inquietante o come lama lucente che taglia di limpida luce la foresta pluviale. Un riferimento freudiano fin troppo marcato se non fosse costruito con grazia e giustificato da una trama semplice ma coerente ed efficace.

Un film, comunque, rivolto ad un pubblico probabilmente d’essay, difficle pensare a una sua ditribuzione in sala in Italia.

 

 

“Plus Tard tu Comprendras”

(Più tardi capirai), di Amos Gitai, francia 2008

Gitai avviò, oltre 30 anni fa, la propria carriera documentado il conflitto israelo palestinese, da allora questo era sempre stato il tema principale della sua produzione.

Ma Gitai è interessato anche alla visione più genrale del medio oriente e alla diaspora ebraica, da qui la decisione di tradurre in film il romanzo autobiografico di Jerome Clement, dal titolo omonimo.

La storia è quella di una famiglia di quelli che ai tempi delle leggi razziali, erano chiamati “ebrei misti”, una donna (Jeanne Moreau)  ha allevato i propri figli (fra cui Victor, l’alter ego di Clement) nel cattolicesimo ma è rimasta sempre di fede ebraica.

Divenuto adulto il figlio indaga sulla storia  della famigila materna durante l’occupazione tedesca e fa una scoperta terrificante: alcuni documenti che la madre gli lascia leggere solo al momento di sentirsi vicina alla morte, sembrano suggerire che il nonno abbia tradito la nonna e la sua famiglia consegnadoli ai nazinisti in cambio della propria salvezza, forse prendendone anche i beni.

La vicenda storica rimane avvolta dal dubbio, non viene mai chiarita del tutto, ma è fin troppo ovvio per Victor voler ricotruire la vita, e la morte, dei nonni materni, viverne il dramma e riscoprire le proprie origini, insieme però al dubbio e al senso di colpa.

Una storia narrata maigistralmente che sembra mostrare quanto possano essere attuali, vivi ancora oggi, non solo i ricordi ma anche i drammi reali della Shoa.

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