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“Condoni e buonismi distruggono la giustizia” L’intervista all’avvocato Zilioli

Abbiamo parlato con l'avvocato Claudio Zilioli nell'ambito di una nuova iniziativa di Bergamonews, avviata domenica scorsa col professor Lucio Parenzan: una serie di interviste a personaggi che possiamo definire quasi un pezzo di storia della citt??. L'avvocato nella sua ultracinquantennale carriera, ha seguito pi?? di diecimila processi e si ?? costruito un'idea non proprio ottimista della giustizia italiana.

Nella sua ultracinquantennale carriera di avvocato ha seguito più di diecimila processi: "Non tutti importanti sa? All’inizio mi occupavo spesso dei furti di energia elettrica". Per questo, ma non solo, l’idea che Claudio Zilioli si è costruito sui mali della giustizia italiana è degna di atenzione di assoluto rispetto anche se a volte va controcorrente e scompiglia un certo modo di pensare buonista che va per la maggiore da vent’anni almeno.
Abbiamo ascoltato l’avvocato Zilioli nell’ambito di una iniziativa che Bergamonews ha appena avviato, giusto domenica scorsa con il professor Lucio Parenzan: una serie di interviste a personaggi che possiamo definire quasi un pezzo di storia della città, interviste che intendono dare uno sguardo un po’ particolare non solo su Bergamo, ma anche sull’evoluzione dei costumi. Uno sguardo specialistico, ma non troppo: vogliamo capire e far capire insomma come cambia la società bergamasca nel terzo millennio.
Peraltro con l’avvocato Claudio Zilioli affrontare questi temi è facile: lui iniziò la sua vita lavorativa, durante la Seconda Guerra mondiale, dopo la licenza classica al Sarpi, come cronista, in un quotidiano bergamasco, l’allora Giornale di Bergamo.
Un giornalista mancato. Perché mai?
"Mi piaceva sa? Andavo in tribunale a seguire i processi, mi intrigava in particolare l’avvocato Zilocchi: seguivo e riportavo le sue arringhe sul giornale. Lui si accorse di me e mi invitò a entrare nel suo studio. Optai allora per la carriera in ambito giudiziaro anche contro i dubbi della mia famiglia che aveva notato come gli introiti dei giornalisti fossero molto più elevati".
Altri tempi, avvocato.
"Altri tempi sì, da questo punto di vista ho cambiato in meglio. Poi devo dire che allora mi affascinava la professione dell’avvocato. Un fascino durato per molto, ma poi via via scemato".
Cosa è successo, cosa l’ha delusa?
Mi ha deluso e mi delude la situazione della giustizia italiana. In  crisi, pesantemente in crisi. Non so se si riprenderà".
A cosa si riferisce, precisamente?
"Guardi non voglio parlare di situazioni che già da tempo sono al centro dell’attenzione dei media. Mi limito a farle due sottolineature di cui si sa poco: una in alto e una nei piani bassi del mondo giudiziario. Vale a dire la Cassazione e il carcere".
Partiamo dalla Cassazione.
"Per farle capire che qualcosa non va e non può andare mi limito a una constatazione facile facile: si diventa consiglieri di Cassazione per anzianità, solitamente. Ebbene, molti consiglieri, appunto perché anziani preferiscono non muoversi da casa e a Roma non  ci vanno. Così i veri giudici di Cassazione sono all’80 per cento romani. Nulla da dire contro i romani per carità, ma capisce che il più elevato grado di giudizio si perde così una gran fetta di intellettuali ed esperti del resto d’Italia. E’ sconfortante e la dice lunga sulla qualità e la preparazione di questo fondamentale passaggio della giustizia, la Suprema Corte".
E cosa c’è che non va nel carcere, invece?
"C’è che tutto si accanisce sul tema fondamentale: la certezza della pena. Lasciamo perdere le amnistie, gli indulti e i condoni: che tutto fanno tanne che garantire che la legge è uguale per tutti dal momento che chi non capita in mezzo a un condono non è uguale a chi invece se lo gode. Ma a parte questo, c’è un nodo cruciale che deve essere chiaro a tutti per capire chi assolutamente deve essere incarcerato ed è la recidività. Su tutto il resto si può discutere, tutto può essere messo in discussione, ma quando uno reitera il reato deve stare in  cella".
In cella per essere rieducato?
"Deve stare in cella ed essere trattato con umanità. Ma la rieducazione non si può fare lì dentro. Il carcere ha altri compiti: una punizione che deve essere un deterrente per evitare che il malvivente torni a delinquere. Niente buonismi allora, niente pressioni per dire che chi si comporta bene lì dentro merita un premio, una riduzione di pena. Queste cose le deve decidere il guiudice, e quale giudice migliore di quello che ha seguito passo paso il dibattimento? Quindi in cella ci si deve stare, piuttosto facciamo più carceri".
Sbaglio o quel che dice non è proprio una linea corrente?
"Da tempo io la penso così, anche se da giovane mi sono comportato in modo opposto. Mi ricordo quella volta che in carcere c’era un giovane, recidivo, appunto, che se fosse stato condannato non avrebbe avuto più diritto alla condizionale. Ebbene, feci un’arringa sulla possibilità di recupero di quel ragazzo tale da commuovere i giudici che infatti lo lasciarono libero. Poi lui però ne ha fatte peggio di Bertoldo. Meno male che quei giudici non l’hanno mai saputo".
Vuol dire che lei era più buono da giovane e adesso è più pessimista, quindi meno disponibile alla tolleranza?
"Voglio dire che il problema sicurezza oggi c’è ed è legato alla non certezza della pena, che si ribalta semmai in certezza dell’impunità. Non è soltanto una percezione frutto di maggiore sensibilità della gente. La criminalità è organizzata scientificamente. Le rapine sono ben studiate e progettate. Oggi non possiamo nascondere che esiste il grossissimo problema degli extracomunitari che delinquono, un problema ampiamente sottovalutato. Per dirne una: in carcere qui al Gleno c’è una specie di libreria con scaffali di un colore diverso per i detenuti stranieri. Ebbene, di anno in anno quegli scaffali e quei colori aumentato, non possiamo fingere di nulla".
Beh, voi uomini di legge magari no, però c’è chi è convinto che tenere un delinquente in galera peggiora ulteriormente il suo status di malfattore, acuendo le possibilità di delinquere.
"Certo, la Caritas fa bene ad aiutare i bisognosi, il Papa fa il suo dovere quando lancia messaggi di tolleranza. Ma il politico che ascolta il Papa in questi casi sbaglia: il tema qui è la possibilità di convivenza civile. Se non si punisce chi delinque, si spalancano porte pericolosissime per tutti".
Dal carcere di via Gleno al nuovo tribunale: le piace la collocazione?
"Sì. Ero tra quelli che voleva rimanesse in centro città: allora facevo parte del Consiglio dell’Ordine che si è battuto per questa opzione. E non per banali desideri degli avvocati come ha detto qualcuno, ma perché ritengo giusto che il palazzo piacentiniano mantenga ancora il suo ruolo, il ruolo che vollero dargli persone coraggiose che trasformarono e fecero bello il centro nel periodo della Prima Guerra Mondiale. Un coraggio che oggi non c’è più".
Anche lei ritiene che questa città sia ferma da troppo tempo?
"Il coraggio che c’era una volta oggi non c’è più. Adesso al massimo si parla dell’ascensore per Città alta, una torre d’assedio che trovo assurda e anche inutile. oppure si cerca di fermare il decadere di ciò che un tempo era luogo di fascino, penso ad Astino. Non sono sguardi che disegnano una svolta per il futuro di Bergamo".
Qual è il difetto, dunque? Di chi è la colpa?
"Mah… non  parlerei di difetti tipici dei bergamaschi. Piuttosto guardandomi attorno negli ultimi anni ho visto e vedo tanta mediocrità".     
 

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