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Gilda delle Arti, debutta “L’Arlechì, servitore di due padroni”

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Domenica 8 gennaio alle 15 all’oratorio di Cisano Bergamasco debutterà lo spettacolo teatrale “L’Arlechì, servitore di due padroni”, a cura della compagnia teatrale “La Gilda delle Arti” e tratto dal “Servitore di due padroni” di Carlo Goldoni. L’opera vede in scena otto attori di età compresa tra i 18 e i 30 anni e ha al suo interno inserti in dialetto.

IL COPIONE
Il servitore di due padroni (1745) è una commedia di Carlo Goldoni, che per protagonista ha Truffaldino, un servo povero e sempre affamato che cerca di assicurarsi la paga e il pranzo con mille stratagemmi. Al centro della commedia troviamo Truffaldino, servo di due padroni, che, per non svelare il suo inganno e per perseguire il suo unico intento, ovvero mangiare a sazietà, intreccia la storia all’inverosimile, creando solo equivoci e guai.
Truffaldino è, come Brighella, Pantalone e il Dottore, una delle maschere che appartengono alla compagine della Commedia dell’Arte: si tratta dell’equivalente di Arlecchino.
Il servitore di due padroni è un’opera di intrattenimento, comica e divertente, che non pretende di insegnare nulla o rappresentare una situazione reale; è una fiaba teatrale, in cui colpi di scena, equivoci e stramberie si susseguono senza sosta.
I personaggi femminili hanno, come spesso in Goldoni, un rilievo tutto particolare: anche se non sono protagoniste assolute, intessono la trama e muovono l’azione. La vicenda intera si impernia sulla figura di Beatrice, giovane donna di Torino che, avendo perso il fratello, si traveste da uomo e si reca a Venezia alla ricerca del suo innamorato. L’unica a conoscere la sua identità è l’altra giovane donna della storia, Clarice, che per amicizia decide di mantenere il segreto. Infine c’è Smeraldina, servetta che, con i suoi a parte e le sue astuzie, fa da controparte femminile al personaggio di Arlecchino.

LA TRAMA
La commedia si apre a Venezia in casa di Pantalone de’ Bisognosi, anziano mercante che sta assistendo alla promessa di matrimonio tra sua figlia, Clarice, e Silvio, figlio del Dottore Lombardi. I due sono innamorati ed è una fortuna che possano promettersi, dato che Federigo Rasponi, agiato torinese cui Clarice era destinata, è morto in una lite a causa di sua sorella, Beatrice.
Alla promessa assistono Smeraldina, giovane serva di Clarice a casa di Pantalone e Brighella, locandiere veneziano che fa da testimone. Inaspettatamente, nella scena irrompe Truffaldino, il giovane servo venuto per annunciare il suo padrone: si tratta proprio di Federigo Rasponi, venuto a Venezia per incontrare la sua futura sposa e per chiarire gli affari sulla dote della ragazza. In realtà, colui che si presenta in casa di Pantalone è Beatrice Rasponi, sorella del defunto in vesti da uomo, per poter andare in cerca di Florindo Aretusi, suo amante fuggito a Venezia in seguito al colpo mortale inferto di sua mano proprio a Federigo e che lei sta inseguendo.
Brighella riconosce Beatrice ma non svela l’inganno dinanzi ai presenti e, anzi, sta al gioco facendosi da garante per assicurare tutti che lo sconosciuto che si trovavano di fronte fosse proprio Federigo Rasponi. Neanche Truffaldino, incontrato da Beatrice nel Bergamasco, sa nulla della vera identità del suo padrone. Il suo unico obiettivo è riempire la pancia, essendo perennemente tormentato dalla fame e dall’ingordigia. Non soddisfatto del trattamento di Beatrice, che trascura gli orari del pranzo e lo lascia spesso da solo, per uno scherzo del destino si trova a servire un altro padrone, che si rivela essere Florindo Aretusi sotto il falso nome di Orazio Ardenti.
Beatrice e Florindo sono vittime delle bugie, dell’ingordigia e della scaltrezza dell’abile servitore e si ritrovano alloggiati nella locanda di Brighella in cerca l’uno dell’altro. Per svincolarsi da situazioni critiche, Truffaldino non fa altro che creare guai su guai. Per non farsi scoprire, addossa tutte le responsabilità sul fantomatico Pasquale, servo che in realtà non esiste. Anche quando Beatrice e Florindo si rincontreranno, Florindo crederà che il servitore di Beatrice sia Pasquale e viceversa. Truffaldino soffre la fame, mente, corteggia, ama, finge di saper leggere, serve acrobaticamente due padroni in stanze diverse, pasticcia la trama e la risolve, tutto ciò mentre lo pseudo-Federigo Rasponi complica la vita dei due amanti Silvio e Clarice e delle rispettive famiglie.
La finzione di Truffaldino porta al culmine dell’imbarazzo nel momento in cui egli scambia il contenuto di due bauli, uno di Beatrice e l’altro di Florindo. Il servitore deve giustificare a Beatrice come mai sia entrato in possesso di lettere che appartengono a Florindo. A quest’ultimo, viceversa, Truffaldino viene invece obbligato a spiegare perché ha con sé un ritratto di proprietà di Beatrice. La scusa che Truffaldino racconta a entrambi è quella di avere ereditato questi oggetti da un precedente padrone defunto.
Quando la situazione sembra irrimediabile, e Beatrice e Florindo minacciano di suicidarsi convinti che i rispettivi amanti siano morti, avviene il colpo di scena. I due padroni innamorati si ritrovano per caso e sono condotti a nozze, Clarice e Silvio con le rispettive famiglie si riappacificano, non appena viene svelato l’inganno di Beatrice, Truffaldino e Smeraldina ottengono il permesso di sposarsi. Il servo svela ai suoi padroni di aver servito contemporaneamente entrambi solo per potersi garantire la mano di Smeraldina.
Lo spettacolo si conclude con questa battuta: “Ho fatto una gran fadiga, ho fatto anca dei mancamenti, ma spero che, per rason della stravaganza, tutti si siori me perdonerà”.

LA COMMEDIA DELL’ARTE
I comici dell’Arte erano attori che non recitavano “a copione”, ma “all’improvviso”: conoscevano la trama dello spettacolo e i suoi punti salienti, che erano indicati in un canovaccio, e poi creavano dialoghi e battute rifacendosi alla loro esperienza della scena; citavano poeti, classici e altre opere letterarie, inventando uno spettacolo in maniera estemporanea.
I personaggi mascherati rispondevano allo stereotipo di un “tipo” di personaggio: il vecchio mercante, libidinoso o avaro, era Pantalone, il vecchio colto era il Dottore, il servo astuto Brighella e il servo pasticcione Arlecchino. Ognuno di essi parlava un dialetto: Goldoni stesso ne spiega l’origine nei suoi scritti; il mercante parlava Veneziano perché Venezia era il centro dei commerci, il giurista parlava Bolognese perché in quella città c’era l’università, i servi parlavano Bergamasco perché i servitori dei ricchi mercanti veneziani venivano dai territori di terraferma, come Bergamo. A loro si aggiungevano gli “amorosi”, interpreti giovani e senza maschera che parlavano un italiano “letterario” e alto, sempre al centro di amori contrastati.
La commedia dell’arte era conosciuta in tutta Europa e ha rappresentato una delle fasi più amate del teatro italiano nel resto del mondo.

LA REGIA DI STREHLER
Il primo regista italiano, Giorgio Strehler, mise in scena nel 1947 la prima versione del suo “Arlecchino Servitore di due padroni” sostituendo di fatto il personaggio di Truffaldino con quello più famoso di Arlecchino. Lo spettacolo debuttò al Piccolo Teatro di Milano ed ebbe un successo strepitoso in tutto il
mondo. Le diverse edizioni dello spettacolo cadenzarono per 50 anni le stagioni del Piccolo Teatro di Milano, tuttora è lo spettacolo che più di ogni altro porta nel mondo i gesti del Teatro Italiano.

LO SPETTACOLO DE “LA GILDA DELLE ARTI”
Riprendendo la scelta già fatta da Strehler, anche La Gilda delle Arti decide di mettere in scena il copione di Goldoni con alcune modifiche: Truffaldino diventa Arlecchino, non solo per citare il grande esempio del regista, ma anche per un po’ di orgoglio patrio. Se è vero che il primo Arlecchino fu, probabilmente, Veronese (Tristano Martinelli), è indubbio che uno dei simboli della nostra città e della provincia è proprio la maschera della Commedia dell’Arte.
Con gli abiti a toppe a forma di rombo e la maschera da gatto, l’Arlecchino de “L’Arlechì” cerca di restituire un personaggio vivo, non solo un’icona del teatro tradizionale: nella vicenda, sia Arlecchino che Brighella non parlano il dialetto bergamasco del 1700, ma il dialetto contemporaneo di due attori di 27 anni, rispettivamente di Curnasco e di Verdellino. Anche per questo motivo, si è scelto di ambientare la vicenda in Città Alta e non a Venezia.
La base di riferimento è sempre il copione Goldoniano ma, proprio per rimanere nello spirito della Commedia dell’Arte, si è lasciata agli attori grande libertà nel reinterpretare e fare proprio il testo. Inoltre è stato ridotto per arrivare a uno spettacolo di circa un’ora e mezza.

Il cast comprende Nicolas Adobati, Sara Arnoldi, Giovanni Fiorinelli, Nicola Armanni, Ivan Fumagalli, Miriam Ghezzi, Marzia Corti e Giuseppe Modica, con la regia di Miriam Ghezzi, direzione artistica di Nicola Armanni, costumi di Miriam Ghezzi, Federica Sanseverino e scenografia di Nicolas Adobati.
L’ingresso è libero.

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