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Il discomane

Rieccoli, e che gioia: Little Feat ti travolgono come una volta

Rooster Rag: come se il tempo si fosse fermato a 20-30 anni fa. Ma che classe e che divertimento. E Brother Giober si diverte anche con la play list dedicata ai tipi da spiaggia.

Giudizio:

* era meglio risparmiare i soldi e andare al cinema

** se non ho proprio altro da ascoltare…

*** niente male!

**** da tempo non sentivo niente del genere

***** aiuto! Non mi esce più dalla testa

 

 

ARTISTA: Little Feat

TITOLO: Rooster Rag

GIUDIZIO: ***1/2

Beh, non ci volevo credere, quando tra le novità in arrivo su I.Tunes veniva annunciato un nuovo album, di inediti, dei grandi Little Feat, in assoluto uno dei miei gruppi favoriti. E invece la promessa annunciata è stata mantenuta il 22 giugno, giorno di pubblicazione sul noto negozio virtuale di Rooster Rag, il nuovo lavoro di Bill Payne e compagni.

Era il 1978, giugno 1978, ed allora seguivo una trasmissione radiofonica che alle 12 di ogni giorno presentava un disco in anteprima. Quel dì toccò a Waiting for Columbus, il disco live dei Little Feat, e per me fu vero amore sin dal primo ascolto.

Per molti anni i Little Feat hanno diviso il trono di jam band con la Allman Brothers band e con i Grateful Dead, riscuotendo forse, rispetto ad entrambi gruppi, meno successo ma senza essere, a mio modesto parere, meno meritevoli.

Ancor oggi ascolto “Waiting” quando devo tirarmi su il morale, quando devo riorganizzare le forze. Lo trovo corroborante come nessun altro disco, una mistura di rock, soul, funky che ha i suoi apici creativi nella grande Fatman in the Bathub, alla quale secondo me Prince deve molto, e nella meravigliosa Willin’ di Lowell George, una delle più belle ballate mai scritte.

Ho poi perso le tracce, complici dischi in studio non sempre all’altezza, rapidi avvicendamenti di alcuni componenti della band che hanno tolto continuità al discorso artistico, una serie di live che davano l’impressione di “raschiare il fondo del barile” ma soprattutto la morte di Lowell George, forse il migliore di tutti, il più sensibile dei componenti del gruppo, il più grande.

Lo ammetto quindi che quando ho schiacciato lo “start” del mio lettore di cd, la nostalgia era alta ma vivevo anche il timore di restare deluso. Invece, per fortuna il disco è bello, molto bello.

Certo, nulla di nuovo sotto il sole, lo stile è quello, una mistura di generi che ha salde radici nella cultura americana e quindi largo spazio al blues, al rock, al soul, come se il tempo si fosse fermato a vent’anni, forse trenta fa. Ma che classe e che divertimento.

Rooster rag viene pubblicato dopo circa 9 anni dal precedente Kickin’ at the Barn, ultimo disco di brani originali e 5 dopo Join the Band nel quale numerosi hits della band venivano riprese con la partecipazione di ospiti illustri quali Jimmy Buffet, Sonny Landreth, Dave Matthews, Chris Robinson, Emmylou Harris.

Numerosi componenti originali non ci sono più, perché, come già scritto, Lowell George ci ha lasciati nel 1979 e nel 2010 è scomparso anche il batterista Richie Hayward. Shaun Murphy, la vocalist che aveva fatto parte del gruppo dal 1993 al 2009 se ne è andata anche lei, mentre Fred Tackett, entrato nel lontano 1987, assume, nel nuovo disco, importanza a livello compositivo e vocale ed il nuovo batterista è il bravo Gabriel Ford, nipote del grande chitarrista Robben Ford.

Confermatissimi, ovviamente, Bill Payne, unico membro presente nella prima formazione, Paul Barrere, Kenny Gradney e il poderoso percussionista Sam Clayton, capace, con le sue variazioni, di ornare ogni canzone dei profumi del sud.

L’inizio del disco è occupato da una cover. Candy Man Blues, è un vecchio brano di Missisipi John Hurt, originariamente acustico, qui diventa un boogie scatenato, ottimamente cantato. Protagonista assoluto è Paul Barrere con le sua slide e la sua voce. Impossibile stare fermi. La memoria va immediatamente ai grandi dischi di studio degli anni ‘70 come Dixie Chicken o Sailin’ Shoes.

Rooster Rag, il brano che dà il titolo al lavoro è una canzone che sa di radici e feste contadine con il violino di Larry Campbell e il mandolino di Fred Tackett protagonisti centrali e un coro liberatorio che fa venire tanta voglia di cantare.

Church Falling Down è un brano scritto e cantato da Tackett, una ballata meravigliosa che inizia con le tastiere di Payne e le percussioni di Clayton cui presto si aggiunge il mandolino e un bel solo “liquido” del piano acustico dello stesso Payne nella parte centrale. La presenza di un coro che sottolinea alcuni passaggi conferisce al tutto un tocco gospel che affascina e colpisce la fantasia che si popola di immagini del sud degli Stati Uniti. Una canzone strepitosa.

Salome, appartiene di diritto al repertorio più classico dei “Feat” e l’anima di Lowell George aleggia in maniera vistosa. Mandolino, percussioni e violino la fanno da padroni. Nulla di nuovo, come dicevo, ma il divertimento e il coinvolgimento sono garantiti.

One Breath at the Time è composta da Tackett, che la canta, ed è più bluesata e funky rispetto alle canzoni che la precedono e per la prima volta i fiati (Texicali Horns) partecipano massicci alla riuscita. Presente è anche l’hammond di Bill Payne, che dà al brano un senso di jam che riporta alle atmosfere live. Il tutto è ulteriormente ornato dagli interventi vocali di Clayton e Barrere, che si scambiano i versi in un gioco di rimandi assai godibile.

Just a Fever è un boogie scritto da Paul Barrere, abbastanza convenzionale, con un giro di chitarra come se ne sono sentiti a migliaia ma non per questo meno coinvolgente e trascinante. Bello il piano in sottofondo di Bill Payne. Probabilmente sarà un brano di punta degli spettacoli dal vivo.

Rag Top Down scritta dalla coppia Payne – Hunter è, ancora una volta, un ritorno al passato e mi ha fatto venire alla mente alcune cose della Band e di Stevie Winwood. Il brano è, ad ogni modo, bello così come la successiva Wayne Down Under, dal ritmo veloce e gli scambi tra batteria e percussioni che danno al pezzo innumerevoli sfumature cromatiche. Grande!

Jamaica Will Break Your Heart, nuovamente di Tackett, ha ritmi, ovviamente, caraibici, morbidi ed indolenti nella fase iniziale, poi rafforzati dalla presenza massiccia dei fiati e da un piano sullo sfondo oltre che da un pirotecnico “break” di batteria sul finire del brano. Il brano chiude poi in un crescendo ritmico anche se l’impressione finale è quella di una certa incompiutezza.

Tattooed Girl, è introdotta da una tromba che dà un tocco jazzy, confermato da parti vocali che riprendono toni dei crooner degli anni cinquanta. Il brano un po’ avulso dal contesto complessivo del lavoro è comunque assai bello.

The Blues Keep Coming, scritta da Payne e dal nuovo arrivato Gabriel Ford è un rock blues, ravvivato dagli interventi dell’hammond, che tuttavia, alle mie orecchie stenta a decollare.

Chiude Mellow Down Easy, un brano di Willie Dixon giocato all’inizio sulle percussioni, è cantato da Sam Clayton con voce profonda e caratterizzato dagli scambi tra le chitarre e l’armonica di Kim Wilson. Ritmo travolgente, grande divertimento e il gruppo va che è una meraviglia. Whoowww!

Fine. Disco veramente bello. Se vi piacciono il blues, il rock, il soul ed il loro intrecciarsi questo è il disco che fa per voi.

Brother Giober

SE NON TI BASTA ASCOLTA ANCHE:

Little Feat – Waiting for Columbus

The Band – Music from Big Pink

The Marshall Tucker Band – Searchin’ for a Rainbow

ALTRO (dischi dimenticati, nascosti e meritevoli di menzione, oppure no)

Brandy Carlile – Bear Creek *** Se non sbaglio questo dovrebbe essere il quarto disco dell’artista e giunge dopo una registrazione live. Il disco è notevole anche se meno ispirato di quelli che l’hanno preceduto. La signora spazia tra il folk, il gospel ed il rock e qualche traccia memorabile la lascia come quella di Hard Way home posta in apertura, un brano coinvolgente, cantato con convinzione.

Rhonda Richmond – Oshogbo Town **** qualche sera fa il mio amico Livio, grande conoscitore di musica, mi ha consigliato di ascoltare questo disco trovato su I. Tunes. Il lavoro è del 2001, e di lei non so nulla, ma sono rimasto ammaliato dai suoni che ho trovato incisi. Difficile dire di che musica trattasi: soul, blues, jazz. Ho trovato il tutto meraviglioso, e arrangiato deliziosamente. Bellissima Float the Boat.

Iggy Pop – Après 1/2* Azzardo. Arrivato ad un’età che dovrebbe consigliare la pensione, il nostro eroe del tempo che fu si è accorto di aver fatto si la storia del rock ma di non aver messo da parte nulla. Ecco la pensata geniale: cambio genere e mi metto a fare il crooner, come Rod Stewart che, con questa scelta, ha rimpinguato i suoi forzieri (peraltro già colmi nonostante i plurimi divorzi) . Nulla di più sbagliato. Il disco è penoso e la versione di Everybody’s talkin’ farebbe incazzare anche un Nobel per la pace.

PLAY LIST: Tipi da spiaggia

Rod Stewart – Do You Think I’m sexi?

David Lee Roth – California Girls

Robert Palmer- Some Like it Hot

Duran Duran – Save a Prayer

Human League – Don’t You Want me

Roxi Music – More than This

Tears for Fear – Everybody Wants to Rule the World

David Bowie – Changes

ABC – The Look of Love

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