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Cinema

La recensione

Il viaggio di Yao: dalla Francia al Senegal, un road movie che ci ha convinto poco

Dietro la regia di Philippe Godeau, Omar Sy interpreta un famosissimo attore francese di origini senegalesi che all’uscita della sua biografia inizia un tour promozionale che lo porterà nella sua terra d'origine.

Titolo: Il viaggio di Yao

Regia: Philippe Godeau

Attori: Omar Sy, Lionel Louis Basse, Fatoumata Diawara, Germaine Acogny, Alibeta

Durata: 103 minuti

Giudizio: **

Programmazione: Cinema Capitol

Seydou Tall, interpretato dall’ormai noto Omar Sy, è un famosissimo attore francese di origini senegalesi. All’uscita della sua biografia, il tour promozionale prevede un viaggio nella sua terra d’origine, in Africa, dove è molto conosciuto. A Seydou, inizialmente, sembra l’occasione perfetta per passare del tempo con il figlio Nathan; ma la madre, da cui è separato, glielo impedisce, motivo per cui alla fine è costretto a partire da solo.

Parallelamente, in un villaggio del Senegal a 400 chilometri da Dakar vive un ragazzino, sveglio e sognatore, affamato di libri e di cultura, fan sfegatato del signor Tall: Yao. Figlio di un sarto, Yao è un ragazzino vivace, con tanti sogni per la testa: vorrebbe fare l’astronauta, oppure il palombaro; vorrebbe andare a vivere su Marte; ha letto Jules Verne e ne va piuttosto fiero. Non appena viene a sapere che il suo mito, Seydou Tall, si trova a Dakar, si adopera in modo piuttosto furbo e non del tutto ortodosso per racimolare i soldi necessari per raggiungere la città. Dopo ore e ore di viaggio in treno e passaggi in macchina, finalmente arriva nella capitale.

Pazientemente, aspetta che il signor Tall abbia terminato il suo evento, con la speranza di riuscire a farsi autografare la copia del suo libro, mezza mangiucchiata da una capra. Finalmente, i due riescono a incontrarsi e Yao, implorandolo con quei suoi grandi occhi neri, riesce ad ottenere il tanto agognato autografo. Seydou, con la mentalità di un padre apprensivo e probabilmente rivedendo un po’ di sé nel ragazzino, decide di prendere Yao con sé e di occuparsi personalmente di riportarlo a casa, nel suo villaggio, sano e salvo.

Ben presto, quello che doveva essere solo un passaggio in taxi, si trasforma in un viaggio non solo fisico, ma perlopiù spirituale, alla ricerca di quelle radici che Seydou pensava di avere perso. Yao, con le sue continue domande, lo spinge a interrogarsi su di sé, sulle sue origini, su ciò che lo ha spinto a tornare in Africa. Inizialmente non è semplice: Seydou è cresciuto in Francia, dove ha imparato a pensare come un bianco. Come dice scherzosamente Yao: è nero fuori e bianco dentro. Ma piano piano, attraverso gli occhi sognanti di Yao, Seydou ritrova quella parte di sé che pensava di avere perso e vede in Yao non solo un ricordo di se stesso, ma anche il figlio di cui non sapeva di avere bisogno.

Un road movie che ha sicuramente molto di personale per Omar Sy, che avevo trovato convincente sia in “Quasi Amici” che in “Famiglia all’improvviso”, nonostante non sia fan del cinema francese. Tuttavia, qui, l’ho trovato, per quanto possa sembrare paradossale, più debole e meno credibile del solito. Ho intuito che il film significasse molto per lui e che volesse comunicare qualcosa a un più profondo livello spirituale. Tuttavia, il messaggio si perde nei manierismi sdolcinati di un rapporto quasi morboso che distoglie l’attenzione da tutto il resto.

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