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On the road

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Ambrogio da Calepio: l’inventore del dizionario plurilingue

Il valoroso linguista, che si chiamava in realtà Giacomo, assunse il nome di Ambrogio quando divenne frate agostiniano, degli eremitani: era figlio naturale di un conte Calepio e, secondo il costume dei non primogeniti del tempo, fu avviato alla carriera religiosa, sia pure con generose prebende

Visto che, con il buon Alberico, ci siamo incamminati per la strada dei bergamaschi illustri, tra Medioevo e Rinascimento, proseguiamo diritti in quella direzione e, spostandoci di qualche centinaio di metri, arriviamo in via Ambrogio da Calepio e alla sua minuscola appendice, detta passaggio del Calepino.

La strada in questione ha aspetto bizzarro e contraddittorio: un lato è rappresentato da belle palazzine in quel felice liberty borghese che ha caratterizzato tanti quartieri della Bergamo dei primi del secolo, mentre l’altro conserva spazi e muri di una città protoindustriale, decisamente meno gradevoli all’occhio.

Via Calepio congiunge via Noli con via Borgo Palazzo, formando uno dei lati di piazza Sant’Anna e sbucando proprio di fronte all’imponente torre campanaria dell’omonima chiesa. Non è una via importante né trafficata: eppure, è dedicata alla memoria di un personaggio cui dobbiamo nientemeno che l’idea del dizionario plurilingue.

Il valoroso linguista, che si chiamava, in realtà, Giacomo, assunse il nome di Ambrogio quando divenne frate agostiniano, degli eremitani: era figlio naturale di un conte Calepio e, secondo il costume dei non primogeniti del tempo, fu avviato alla carriera religiosa, sia pure con generose prebende. Non era un bel periodo per fare il frate: nato tra il 1435 ed il 1440, Ambrogio visse nell’epoca dei grandi moti riformatori degli ordini monastici, che culminarono con il celebre scisma luterano del 1517.

Lui, però, non fece in tempo ad assistervi, perché la morte lo colse, nel convento di Sant’Agostino, tra il 1509 e il 1510. Molti degli studenti che, oggi, in quelle sale vetuste, consultano un vocabolario, probabilmente ignorano il fatto che lì lavorò e morì il nonno, se non il padre, di quell’agile ed utile strumento. In realtà, l’“Ambrosii Calepini Bergomatis Dictionarium”, comparso per i tipi del Bertocchi, con infinite mende e refusi, nel 1502, doveva essere una mappazza mica da ridere, se “calepino” è diventato sinonimo di librone pedante e verboso, nonché di persona noiosetta alquanto: però, vanno considerati i tempi.

La scienza in pillole non esisteva ancora e l’erudizione contava più della scienza stessa.
Il Calepio lavorò al suo mastodontico progetto fino alla morte, limando e correggendo: nel frattempo, l’opera, rivista e riedita nel 1509, ebbe enorme successo, anche perché, da dizionario latino che era all’inizio, si fece quadrilingue, aggiungendo alla “gramatica” l’ebraico, il greco e l’italiano, e diventando, dunque, il vero e proprio calepino. Si considera edizione ultima e perfetta, però, quella veneziana, del Benaglio, postuma, del 1520, basata sulle carte del frate eruditissimo e con le ultime correzioni e glosse. Si trattò di un lavoro certosino, più che agostiniano: una compilazione complessa, non solo a carattere linguistico ma enciclopedico, figlia dell’Umanesimo e dell’eccezionale capacità applicativa che era tradizione monastica, in cui concorrevano i pensieri del Valla e del Perotto e l’”ora et labora” benedettino. Insomma, l’idea del Calepio non doveva essere quella di snellire il lavoro del ricercatore, quanto quella di redigere una “summa” linguistico-antiquaria. Diciamo che fu una sorta di trait d’union fra Isidoro da Siviglia e il Muratori, tra l’enciclopedismo medievale e la poligrafia illuminista.

Direi che può bastare.

La nostra passeggiatina ci ha portati lontano: siamo partiti dai commentari di Alberico e dalle quiete acque del Morla, per approdare ai lemmi di Ambrogio e a Borgo Palazzo. Itinerari nella storia, nota e meno nota, della nostra cara Bergamo e tra le vie e le piazze che attraversiamo ogni giorno, dimentichi degli uomini e dei tempi che sono evocati dai loro nomi: così è il presente, questa vita un tantino troppo frenetica. Ma il nostro viaggio, “lento pede”, continua imperterrito, alla ricerca di qualche curiosità e di piccole storielle dell’odonomastica orobica: chi vuole, ci segua. Alla prossima.

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