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L'intervista

Livio Magoni e la favola Vlhová: “Come Gasp alla Dea, e mi sono preso la rivincita”

L'allenatore selvinese dietro il successo della 23enne slovacca. Nel 2015 fu esonerato dalle azzurre

Profumano anche di bergamasco le medaglie conquistate da Petra Vlhová ai Mondiali di Sci Alpino di Are (Svezia). La sciatrice slovacca, che è salita sul gradino più alto del podio nel gigante, è allenata dal tecnico Livio Magoni e seguita dallo skiman Gigi Parravicini, entrambi bergamaschi.

Un risultato storico per la 23enne che si allena allo Stelvio con un team privato guidato proprio dal selvinese Magoni, lo stesso che in passato ha lavorato con Tina Maze fino alla stagione del record di punti in Coppa del Mondo e che fino al 2015 seguiva le azzurre delle discipline tecniche prima che il suo contratto non venisse rinnovato.

Magoni, per lei questa è una rivincita bella e buona.

Quando sono stato licenziato ho passato un brutto anno. Mi ero messo in discussione per capire se i miei metodi fossero o meno sbagliati. Poi è arrivata Petra e ho capito che era giusto continuare per la mia strada, con le mie convinzioni.

Cosa non ha funzionato all’epoca?

Io ho una fortuna: quando un progetto mi intriga sono capace di prenderlo al volo, senza pensarci troppo. È successo con la squadra femminile della Polonia, dove ho visto altre situazioni, altri modi di pensare. Lì hanno più fame, sono più concreti anche di noi bergamaschi. L’incontro con Tina Maze, poi, è stato uno dei momenti più importanti della mia carriera, perché ho imparato a lavorare sui dettagli, sulla concentrazione. Tutte cose che ho provato a portare in italia, dove però è difficile far capire come si dovrebbe veramente lavorare. La Goggia, ad esempio, mi dà la sensazione di vincere quasi da sola, per le sue qualità individuali.

Come si sente adesso, dopo queste vittorie?

Più sereno. Un po’ come Gasperini all’Atalanta. Quando era sulla panchina dell’Inter nessuno lo aveva capito. Anzi, era stato esonerato un po’ troppo frettolosamente. Ora che allena la Dea i suoi risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Se l’aspettava un successo del genere?

Non era preventivato, ma sapevamo di poter fare una grande stagione. Petra è migliorata tanto, rispondeva bene ai programmi, ai cambi di tecnica. Le avevo detto: ‘o facciamo una grande stagione o combiniamo un disastro’.

È andata bene, direi.

Nei miei programmi al terzo anno si raccolgono i frutti. Al mondiale siamo arrivati consapevoli di poter ottenere dei risultati. Parlare di medaglie è sempre difficile, ma pian piano abbiamo iniziato a crederci e la prima vittoria ha sbloccato un po’ tutto. Lo scorso anno (alle olimpiadi di Pyongyang, ndr) Petra era andata in tilt a causa della pressione. Quest’anno abbiamo lavorato anche su questo aspetto ed è stata la chiave della vittoria.

Per esempio?

Per esempio non siamo rimasti sempre e solo ad Are. Chi è rimasto lì tutto il tempo ha fatto fatica. Ci siamo spostati anche in Norvegia, per staccare un po’ a livello mentale. Lo stesso hanno fatto atleti come Kristoffersen e la Shiffrin.

Quali sono le doti migliori di Petra?

È una ragazza di 23 anni, ma parlare con lei è come parlare ad un’adulta. Sa quel che vuole e come ottenerlo. Soprattutto, sa restare con i piedi per terra. Una qualità fondamentale.

Dopo questa vittoria le pressioni su di lei aumenteranno.

Sì, tutto sarà ancora più difficile perché ci si aspetteranno nuovo risultati.

Può ancora migliorare?

Il potenziale da sviluppare non manca, non ha raggiunto il suo limite. Tecnicamente commette ancora qualche errore, ma per noi questo è importante…

Perché?

Perché ci spingerà a trovare nuovi stimoli. Sappiamo dove e come migliorare, atleticamente e mentalmente.

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