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“Mio nonno nel lager di Buchenwald, città della morte per deportati politici”

Leonardo Zanchi racconta nelle scuole il dramma del nonno Bonifacio Ravasio, deportato nel ‘44 a Buchenwald per aver difeso il nonno dalle violenze dei fascisti.

“Torna a casa, ma non raccontare mai quello che ti è successo, perché ti prenderebbero per pazzo”. Un uomo della croce rossa americana si rivolge così, nel 1945, poco dopo la sua liberazione, a Bonifacio Ravasio, deportato politico internato nel campo di concentramento di Buchenwald, uno dei più grandi della Germania nazista. La sua storia viene ricordata oggi grazie al nipote Leonardo Zanchi, ventiduenne di San Pellegrino, dal 2017 vicepresidente dell’ANED Bergamo, che, accompagnando il nonno nelle scuole mentre portava la propria testimonianza, ha ricevuto il prezioso compito di ricordare la sua terribile vicenda ancora oggi.

La storia di una famiglia socialista di Alzano Lombardo dove l’allora 17enne Bonifacio lavorava per la STIPEL (società telefonica) e consegnava gli elenchi telefonici porta a porta, all’interno dei quali inseriva manifesti, piccoli volantini contro il duce e contro il fascismo, cercando di sensibilizzare le persone verso i pericoli del regime. Per difendere il nonno, malmenato dai fascisti nella sede del partito, sferrò un pugno a uno di loro.

Nonno deportato bonifacio ravasio

Un episodio che fu la causa scatenante di tutta la sua terribile vicenda. Scappa verso il Friuli per rifugiarsi da alcuni parenti ma, per evitare loro guai, decide di unirsi alla Resistenza. Arrestato dalla Gestapo e incarcerato ad Udine in una cella con altri 16 prigionieri, viene sottoposto a processo (per giustificarne la deportazione, contrariamente a quanto succedeva per gli ebrei) e imprigionato per motivi politici.

Il 3 agosto del ‘44 viene deportato nel campo di concentramento di Buchenwald (il campo con la maggior presenza di prigionieri politici), viene rasato, spogliato di tutto quello che aveva e gli viene impresso sul braccio il numero di matricola 33843. Gli viene consegnata la divisa, con un triangolo rosso e la sigla IT, per indicare i deportati per motivi politici italiani.

Una vera e propria “città della morte” Buchenwald, con 136 sottocampi che contenevano stabilmente 60mila prigionieri.

Il 5 agosto del ‘44 Bonifacio Ravasio, 17 anni, viene fatto lavorare al forno crematorio dove venivano portati i cadaveri dei compagni morti, sottoposto a uno sfruttamento fisico e un logoramento psicologico. Con l’avanzata dei russi e degli americani, Bonifacio viene avviato dai nazisti a una “marcia della morte”, fatte con il solo scopo di sfinire i prigionieri, con la quale, lasciando a terra i cadaveri dei compagni morti per la fame e la fatica, arriva al fiume Elba e viene caricato su un barcone.

Il barcone, con 12 cadaveri in putrefazione a bordo, viene notato dai russi a Lovosice (a 60 km da Praga) che riescono, nello scontro, a salvare alcuni prigionieri: Bonifacio perde i sensi e si risveglia due giorni dopo in un ospedale da campo russo, l’8 maggio ‘45. La croce rossa americana lo porta a Bolzano da dove, con la croce rossa pontificia, raggiunge casa. Pesa 37 chili dopo la liberazione, anche la madre non riesce a riconoscerlo.

Nonno deportato bonifacio ravasio

Una storia che Bonifacio, come molti altri deportati, ha cercato di dimenticare, pensando al bene della sua famiglia e al futuro. Una vicenda che però resta nella memoria collettiva anche grazie al lavoro del nipote Leonardo Zanchi, che ha approfondito la storia del nonno grazie alla memoria e ad una minuziosa ricerca storica e che racconta nelle scuole della provincia.

“Una vicenda ancora poco raccontata, quella della persecuzione nei confronti degli stessi italiani, che ancora oggi colpisce” spiega Zanchi. “Bisogna dare qualche spunto di riflessione per l’oggi. Per questo ricordare la deportazione politica è importante: reagire a qualcosa di sbagliato lo potevi fare nel ‘44 come lo puoi fare oggi. Bergamo arriva dopo 70 anni ad avere la consapevolezza di essere stata un campo di transito: abbiamo mandato 800 persone a Mauthausen. È semplice pensare ad Auschwitz perché è lontano: quando si ricordano fatti accaduti nella nostra zona, al binario 1 della stazione di Bergamo, cambia anche la prospettiva in cui si vedono certi avvenimenti”.

Il racconto di una vicenda famigliare che porta con sé una riflessione per tutti: “C’è un legame famigliare, ma da parte mia c’è anche la consapevolezza che quella di mio nonno è una vicenda che non deve essere dimenticata, che ha ancora oggi un senso profondo. Avere la capacità, in un regime che pilotava il pensiero delle persone, di leggere la realtà ed opporsi, secondo me è un insegnamento estremamente attuale. Il fascismo era molto sostenuto, ma avere il sostegno delle masse non vuol dire per forza essere nel giusto. È attuale ancora oggi accorgerci di quello che succede attorno a noi. Chi ha messo un volantino nell’elenco telefonico, chi è salito in montagna per organizzare la Resistenza: credo che questo sia attuale, anche più della Shoah e dell’Olocausto. La deportazione politica ci parla della consapevolezza di essere cittadini, di reagire alle ingiustizie. I ragazzi nati sotto il periodo del fascismo, hanno combattuto per la libertà, pur non avendola mai conosciuta”.

Nonno deportato bonifacio ravasio

Conoscere la storia per capire l’attualità: anche per questo Leonardo Zanchi ricorda la figura del nonno nelle scuole, tra i ragazzi. Proprio in uno di questi incontri, un ragazzo torna sull’eterno dualismo italiano sinistra-destra: “Chi ascolta le vostre testimonianze, si presuppone che voti a sinistra?”. “Questo ragazzo ha sintetizzato quello che è successo nel nostro Paese: la Resistenza e l’Olocausto sembrano diventati fatti della Sinistra. Il 25 aprile è una festa nazionale, ma ancora oggi viene vista come festa della Sinistra. Il contrario del fascismo non è il comunismo, ma è la democrazia. Il fascismo è l’annientamento della libertà, della democrazia e dei diritti. Gli estremi sono sempre sbagliati: il regime comunista non giustifica quello fascista e viceversa. Se uno oggi è libero di votare anche a destra, anche quella più estrema, lo può fare perché il fascismo è stato abbattuto. La libertà di essere di destra, di sinistra, di centro, anche quella di astenersi, è stata ottenuta grazie alla lotta alle dittature”.

“In Germania i processi di Norimberga hanno messo una nazione davanti a se stessa: assieme a Göring, c’era tutta una Nazione. Noi ci siamo liberati del duce, ma non è stato fatto un processo agli altri aguzzini fascisti, che si sono inseriti nelle istituzioni durante il dopoguerra. C’era una linea di continuità tra il prima e il dopo: per certi versi, siamo un popolo che deve fare ancora i conti con la propria Storia”.

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