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On the road

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Via Borgo Palazzo era un piccolo paradiso: oggi è molto cambiata fotogallery

Il borgo cittadino per antonomasia fu un sito importante per Bergamo: via di transito e di commerci, ma anche di giardini e chiostri e, soprattutto, di acque.

Uno dei luoghi più ameni della Bergamo di un tempo che fu, probabilmente, era il Borgo Palazzo: la lunghissima strada che, dall’antico circuito delle Muraine, portava verso i corpi santi orientali, verso i laghi e verso Brescia.

Era qualcosa più di un semplice quartiere extra moenia: vi si trovavano numerose chiese e conventi, palazzi gentilizi e, forse, perfino un recapito imperiale. Già, perché, se dobbiamo dare credito alla tradizione comune, il nome di Burgus Palatii deriverebbe proprio da un “palatium” carolingio, ovvero una delle molteplici sedi in cui alloggiavano gli imperatori franchi, quando giravano per il loro vasto e disomogeneo impero.

Certo è che il borgo per antonomasia fu un sito importante per la città: via di transito e di commerci, ma anche di giardini e chiostri e, soprattutto, di acque. Innanzi tutto il Morla o, meglio, il Murgola, che dà origine al toponimo di Curtis Murgolae: proprio lì, davanti alla chiesa dismessa di Sant’Antonio in Foris, doveva sorgere quel palazzo imperiale che diede il nome all’intero abitato.

L’intersecarsi di canali e rogge ci racconta di attività commerciali legate allo scorrere dell’acqua: pistorie e tessili. I tanti luoghi sacri garantiscono circa la bellezza dei luoghi, giacchè gli antichi religiosi erano tutt’altro che degli sprovveduti, quando si trattava di scegliere dove costruire i propri edifici, e il fitto reticolo di stradine che, ancora oggi, formano le costole dell’asse principale, ovvero la via Borgo Palazzo vera e propria, ci parlano di una vita forse minuta, ma intensa e alacre.

Certo, oggi il quartiere e la strada sono assai cambiati: San Giovanni di Nepomuk continua a benedire il Morla, dal suo piedistallo un po’ corroso, ma, intorno a lui, tutto pare essere cambiato, peggiorato, impolverato dal traffico e dal tempo. La via Borgo Palazzo, dimentica dei fasti dei Pipinidi e dei Robertingi, è soffocata dalle automobili e, dopo lo slargo di piazza Sant’Anna, diventa un’autentica tonnara per gli automobilisti in transito da e per Seriate o verso la tangenziale.

Tuttavia, percorrendo alcuni stretti anditi, dalle parti del fiume, camminando in certe strettoie, sbucando in certi piccoli slarghi, tra intonaci vetusti e mattoni pieni, specialmente se la nebbia ci aiuta a nascondere gli insulti del presente, si può respirare un poco dell’aria di una volta: si riesce ad immaginare il borgo ai tempi, se non della tiara e della spada, perlomeno di Don Abbondio e dell’Innominato. Insomma, se ne percepisce una sorta di aristocratica personalità, per quanto fanée.

In realtà, la via è divisa abbastanza nettamente in sezioni. Fuori di Pignolo e fino a piazza Sant’Anna, essa mantiene un carattere molto orobico: rammenta altre strade analoghe, come via San Bernardino, via Sant’Alessandro, via Moroni. All’inizio, vi sorgono bei palazzi gentilizi e tutto ha un aspetto di antichità rivisitata con criterio e sagacia. Procedendo oltre il Morla, i grandi portoni in pietra serena lasciano il posto alle case del popolo e della borghesia, un po’ accatastate le une sulle altre, ma pur sempre organizzate in una propria semplice eleganza. Poi, tra piazza Sant’Anna e la circonvallazione, prevalgono brutti edifici semimoderni: la via perde la sua connotazione cittadina, ma non ha ancora acquistato la dimensione periferica.

Infine, superato il cavalcavia della circonvallazione, via Borgo Palazzo non ha più nulla del borgo: è uno stradone che fugge verso Seriate, tra imbarazzanti falansteri, qualche capannone dall’aria abbandonata e le vestigia indecifrabili della Clementina. Non è più Bergamo e non è ancora paese.

In un certo senso, via Borgo Palazzo rappresenta uno spaccato storico, sociale, culturale, geografico della nostra città: come un fossile di dinosauro, essa ci permette di ricostruire lo sviluppo e l’espansione di Bergamo nei secoli.

Purtroppo, ci obbliga anche al solito impietoso paragone tra il senso delle cose e della vita di un tempo e quello di oggi: ci dà la triste misura di quel che siamo diventati e di come si possa trasformare in peggio un piccolo paradiso.

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