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La recensione

“Il Ritorno al bosco dei 100 Acri”: quando un cartone parla agli adolescenti

Non è un cartone animato. Non è un film per bambini. Sembrerà paradossale ma è un film che parla a noi ragazzi quasi adulti

“Il Ritorno al bosco dei 100 Acri” per la regia di Marc Forster non è un cartone animato. Non è un film per bambini. Sembrerà paradossale ma è un film che parla a noi ragazzi quasi adulti. Tutti i bambini in sala non potevano capire nulla della storia, cioè capivano semplicemente che Winnie Pooh non trovava più i suoi amici e che Christopher Robin non voleva più tornare dagli animali con cui giocava da piccolo e che egli pensava continuamente al lavoro e basta. Ma quello che vuole esprimere il film è ben altro e alcuni ragazzi seduti tra le file del cinema come me sono sicura che abbiano potuto capire il senso del film.

A mio parere si possono riconoscere tanti temi concatenati tra loro nella trama del film, i quali vengono a galla grazie a tanti particolari accuratamente studiati e molto fini.
Innanzitutto il Bosco dei 100 Acri non è un luogo fisico in realtà, non è la foresta spesso nebbiosa dove vivono Winnie Pooh e i suoi amici e dove da piccolo Christopher giocava con loro: è il luogo figurato dell’infanzia dell’ormai adulto Christopher Robin. Un’infanzia seppellita dai ritmi serrati e monotoni della realtà che lo obbliga a spendere le sue giornate a lavorare senza neanche trovare del tempo per la moglie e la figlia. Il divertimento, la spensieratezza, la leggerezza sembrano non appartenere più a Christopher, quindi il Bosco dei 100 Acri è coperto dalla nebbia e non c’è più possibilità di giocare: Winnie Pooh, l’animale preferito da Christopher-bambino, quello che più gli somiglia (giocherellone, amante della compagnia, curioso, un po’ sciocco), non trova più i suoi compagni d’avventure; questo è il motivo che dà vita allo sconvolgimento della vicenda e che porterà ad un nuovo equilibrio nel suo finale.

Winnie Pooh è propriamente il simbolo dell’infanzia di Christopher: più volte egli reciterà nel corso del film “il sole brillerà se Christopher Robin a giocare tornerà!”. Quindi il clima dove lui e gli altri animali vivono dipende da come è l’anima di Christopher: se è ancora gioiosa e luminosa o se è diventata chiusa e “nebbiosa”. E ancora il ritorno effettivo di Christopher al Bosco dei 100 acri non è possibile senza l’avventuriero Pooh che, una volta raggiunto il padrone a Londra dopo aver attraversato l’albero della sua casa, convincerà Christopher sempre con i suoi modi dolci tipici del cartone animato a compiere l’effettivo ritorno nel luogo dell’infanzia: senza la volontà dell’adulto a riavvicinarsi al ricordo dell’infanzia non si può fare un tuffo nel proprio passato e lasciarsi abbandonare per un attimo alla spensieratezza che la caratterizzavano. E ci vuole un po’ prima che egli si persuada a fare ritorno in quella terra magica: emblematica è la scena in cui Pooh con il suo palloncino è nell’incavo dell’albero che lo porta a casa, di spalle rispetto al padrone, ma né lui né il padrone riescono a fare un ulteriore passo in avanti per allontanarsi definitivamente l’uno dall’altro: è il segno che l’impiegato dell’azienda vuole recuperare l’infanzia abbandonata e che Pooh è in quella posizione lo specchio, la trasposizione metaforica dell’identità di Christopher, la sua immagine, il modo in cui Christopher si riconosce.

Infine Pooh, scomparso nella nebbia, quando poi viene ritrovato dal padrone gli dice che “se non sono io ad andare da qualche parte, sarà qualche parte a venire da me!”. Quindi si potrebbe insinuare che quel “qualche parte” alluda in realtà ad una parte di Christopher, di nuovo un richiamo all’infanzia del bambino e al fatto che essa ha significato molto per lui tanto da costituire una parte indelebile di sé, che non può non raggiungere più la sorgente della sua infanzia, Winnie Pooh.

In primo luogo emerge il tema della felicità/falsa felicità quando l’orsetto dice al padrone di volere un palloncino perché anche se non gli serve lo rende felice. Christopher affermerà poi, quando il palloncino rimane incastrato nella porta del treno che lo sta conducendo al bosco dei 100 Acri, che “non sono i palloncini a fare la felicità!”. Questo tema è il principale assieme a quello del ritorno all’infanzia, l’uno determina l’altro, e comporteranno la volontà del protagonista di cambiare stile di vita, di dare più importanza alla famiglia, piuttosto che al lavoro, cosa che renderà felice anche la figlia che non gioca mai, sempre sola e imperterrita nello studio, attività che la rende triste perché non sa come dare una svolta alla propria vita.

In secondo luogo vi è l’accento sulla confusione tra realtà e finzione. Gli “efelanti” e le “noddole”, terribili mostri che spaventano gli animaletti del Bosco come dirà Christopher a Winnie Pooh “non esistono, non sono reali”, eppure esistono. Esistono perché più nessuno si dà pace nel bosco da quando si sentono quei terribili barriti misti alle fortissime folate di vento. Esistono realmente forse perché in una scena una sorta di elefante sembra colpire Christopher che galleggia sull’acqua che ha riempito una buca. Ed è come se esistessero perché Christopher definisce “noddola” l’imprenditore che è il suo datore di lavoro, il quale si interessa solo al guadagno privando i propri impiegati di tempo e di serenità e quindi in ultima istanza della felicità di ognuno di loro. A questa constatazione Winnie Pooh crede davvero che le “noddole” esistano, quando in realtà sono il riflesso delle nostre paure più profonde. Un’altra argomentazione a favore della confusione di piani tra realtà e finzione è data dal doppio spostamento fisico dei personaggi reali e di finzione nel mondo reale(Londra) e in quello fantastico (il Bosco). Una confusione che si azzera quando nel finale Christopher con la sua famiglia giungono al Bosco e sono a contatto con gli animaletti creati dalla mente del bambino Christopher.

L’ultimo tema che ho trovato è il rapporto tra il niente e il tutto, tra lo svago e il lavoro. Non concedendosi uno svago il proprio lavoro non può dare i frutti desiderati e metterà a rischio la propria vita e anche quella degli altri ( solo Christopher può salvare la propria azienda dalla disoccupazione trovando una soluzione alla situazione economica stagnante che la interessa in quel momento).

La ricerca della soluzione che rimarrà sospesa nella parte centrale della trama verrà alla luce nel finale spontaneamente quando finalmente Christopher non lavora più ai suoi fogli, “le cose importanti della cassetta” di cui parla a Pooh. La soluzione è infatti fare niente! In ufficio Christopher dà una spiegazione alla sua affermazione: se non si fa nulla il guadagno in realtà decolla perché gli impiegati dell’azienda andando in vacanza con le loro valigette possono rilassarsi e guadagnarsi la felicità che da sempre desiderano, il problema infatti sta nel lavoro eccessivo. L’idea in realtà è maturata nella mente di Christopher stando ancora a contatto con Pooh: è l’orsetto infatti che diceva che “fare niente spesso porta alle cose migliori”, ma ha preso forma grazie a Evelyn, la moglie di Christopher. Lei disse che “a volte bisogna guardare le cose da un’altra prospettiva” e il padrone ha avuto la folgorazione: girò il foglio che aveva nelle mani che riporta un grafico a piramide il quale perciò si capovolge, così come la sorte della propria famiglia e di tutti i lavoratori nell’azienda: basta ai sacrifici e alla tristezza, benvenuta felicità!

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