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La via e il parco intitolati a due Locatelli diversi, neanche parenti

Nella seconda puntata del nostro viaggio attraverso strade e contrade della nostra città, cercheremo di dirimere quello che, per qualcuno, può avere rappresentato un equivoco: quello tra via Locatelli e il parco Locatelli, appunto.

Il cognome Locatelli, si sa, è uno dei più diffusi in Bergamasca: dalla sinistra Imagna, nei secoli, centinaia di Locatelli scesero verso il piano, notabili e bergamini, artigiani e operai, spandendosi per la provincia e oltre. Va da sé, dunque, che, nell’odonomastica orobica, possa sorgere qualche equivoco tra personaggi, più o meno noti, che siano appartenuti all’illustre prosapia valdimagnina.

Nella seconda puntata del nostro viaggio attraverso strade e contrade della nostra città, cercheremo di dirimere quello che, per qualcuno, può avere rappresentato un equivoco: quello tra via Locatelli e il parco Locatelli, appunto.

Il Locatelli cui è dedicata la parte superiore della strada, diritta come un fuso, che collega, in felice specularità, il monumento a Donizetti e la fontana di viale Vittorio Emanuele, è Antonio: celebre pilota, tre volte medaglia d’oro, trasvolatore e podestà di Bergamo negli anni Venti, morto a Lechemti, poco dopo la fine della guerra d’Etiopia, nel giugno del 1936. A lui è intitolata la bella strada che sale verso il viale, partendo da via Verdi e che delimita, da un lato, il complesso di edifici in stile razionalista di piazza Libertà.

Inspiegabilmente, nessuna strada è, invece, stata dedicata al fratello maggiore di Antonio, Carlo, valorosissimo volontario alpino e protagonista della Guerra Bianca, tanto in alta Valtellina che in alta Valcamonica, caduto a Conca Presena il 26 maggio 1918. Di Antonio, oggi, da parte di alcuni, si tende a deplorare il fatto che fosse fascista, dimenticando che, negli anni Trenta, si proclamavano fascisti, con assai più veemenza di lui, molti dei protagonisti dell’antifascismo postbellico: senza contare che, da podestà di Bergamo, fu Locatelli ad opporsi ai piani di sventramento di Città Alta, da parte degli architetti di regime, sostenendo, invece, il piano regolatore proposto dal per nulla fascista Luigi Angelini. Insomma, quella di Antonio Locatelli è una figura che andrebbe ristudiata e giudicata “sine ira et studio”, ma, forse, i tempi non sono ancora maturi.

Di tutt’altra matrice è, invece, l’eroico sacrificio dei Locatelli, cui è dedicato il parco, che, pure, molti bergamaschi credono, erroneamente, intitolato all’aviatore e al fratello alpino. Infatti, i fratelli Locatelli alla cui memoria è votato il bel giardino, che divide via Broseta da via Diaz, non appartengono alla stessa famiglia di Antonio e Carlo e neppure allo stesso filone storico: Albino, Giuseppe e Guerino Locatelli venivano da Almenno San Salvatore, e caddero tutti e tre, da partigiani, durante la guerra di liberazione.

Quella dei tre Locatelli è una delle molte storie drammatiche di quel periodo terribile: Guerino fu ucciso dai fascisti in val Taleggio, nel giugno del 1944: la moglie, Tilly Coumont, dopo aver riportato a casa il corpo del marito, si arruolò a sua volta come partigiana combattente. Poi, fu la volta di Albino, fiamma verde, catturato dai fascisti, nel settembre di quello stesso anno 1944, durante un’azione, e fatto sparire, tanto che il suo corpo non venne mai più trovato. Forse, fu quest’ultimo delitto a fare scattare una molla nella testa di Giuseppe, che, invece, militava sul fronte opposto, nella OP di Resmini, proprio la compagnia responsabile della morte di Albino: l’ultimo dei Locatelli iniziò il doppiogioco, fu scoperto e, infine, fucilato, nel gennaio 1945.

Dal 1967, Bergamo onora la loro memoria con una lapide e un bel giardino, pieno di alberi ad alto fusto e di giochi di bambini. La pace della natura e la gioia dei piccoli, però, non devono farci dimenticare un passato pieno di odio e di violenza: anche per questo, i Locatelli, partigiani o aviatori, alpini o martiri, vanno ricordati, ognuno col suo nome e ognuno con la sua storia. Storie diverse, certo, ma che, in fondo, fanno di noi bergamaschi quello che siamo.

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