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I cinquant’anni del ’68: “Noi giovani siamo cambiati, ma non significa che non abbiamo ideali”

L'indagine realizzata dalla 4A degli studenti del Liceo Lussana in occasione del progetto di alternanza scuola-lavoro con Bergamonews e BGY

Quest’anno Bergamonews e BGY hanno dato vita ad un progetto di alternanza scuola-lavoro con sei istituti della bergamasca: ognuna delle scuole coinvolte doveva scegliere un tema da sviluppare nei modi a loro più congeniali (video, fotografie, articoli, vignette, canzoni e molto altro) dando prova delle loro capacità organizzative e della loro creatività. La classe 4A del Liceo scientifico Lussana ha incentrato il proprio progetto attorno ai movimenti studenteschi del ’68 riflettendo su com’è cambiata la loro scuola, sede negli anni ’70 di manifestazioni e occupazioni,  rispetto ad adesso: gli studenti che la vivono hanno gli stessi ideali di allora o li hanno sostituti con altre passioni? E gli studenti di oggi lottano ancora per un’Idea?

Il contesto storico

Il movimento rivoluzionario studentesco del ’68 nasce come critica della società opulenta e consumistica e dell’etica borghese del successo. Colui che dà voce a questo disagio sociale è Herbert Marcuse, che nel suo libro “L’uomo a una dimensione” denuncia lo Stato di assoggettare l’individuo in una condizione di sostanziale non libertà, attraverso forme sofisticate di controllo. Il filosofo tedesco condanna la “società che sperpera”, riferendosi in particolare alla guerra in Vietnam, che egli ritiene innescare un circolo vizioso: il conflitto militare per la prima volta aveva trasmesso le immagini della povertà, atte a far risaltare, per contrasto, il carattere consumista della società.

A partire da questi valori prende forma la contestazione giovanile, una vera e propria chiamata generazionale, che inizia negli Stati Uniti (settembre 1964, occupazione dell’Università di Berkeley).
Da un iniziale rifiuto delle convenzioni e formazione di una cultura alternativa (il fenomeno hippie), il disagio sociale prende poi una forma politicizzata. I giovani professavano la lotta contro l’autoritarismo, segno distintivo della società industriale, e la mobilitazione contro l’imperialismo americano. Il motto era “Vietato vietare”: il rifiuto del divieto come forza per la disciplina da parte dell’istituzione. Tale motto, però, si esprimeva come opposizione nei confronti dell’istituzione, considerata al tempo nemica della società; subito dopo questo periodo, la posizione fu rivalutata a favore del rispetto di essa. La sede della contestazione è l’Università, simbolo contro la volontà classista che voleva mantenerla un luogo elitario. In particolare nel caso italiano, si diffonde un’ideologia in senso marxista e rivoluzionario, che richiedeva una democrazia di base, egualitarismo e spontaneità.
Tale esigenza si era raggiunta a seguito della tendenza conservativa della politica italiana del dopoguerra. In parte colpevole è il centrismo dei governi De Gasperi: la Dc molto forte aveva occupato il centro dello schieramento politico, impedendo grandi movimenti riformisti. Il movimento di protesta italiano aveva quindi un forte contenuto eversivo, perché sfidava direttamente il modello negativo di modernità, che era apparso negli anni precedenti. In Italia, nel corso del 1967, il fenomeno dell’occupazione si diffonde in tutte le facoltà universitarie; uno dei momenti principali è l’autogestione del Palazzo Campana a Torino. La protesta infine sfocia nella vera e propria “battaglia” di Valle Giulia a Roma, l’1 marzo 1968: lo scontro tra gli studenti e le forze dell’ordine. Era quindi l’espressione della violenza, accettata come inevitabile, giustificata ed incontestata, che strideva con gli ideali delle prime manifestazioni a favore della pace.
Vi furono diverse opinioni riguardo alle effettive conseguenze che il movimento sessantottino portò. Sicuramente gli storici riconoscono nel momento di protesta l’espressione della consapevolezza della fine di un’epoca: i giovani, figli di una società che non riconoscevano più, si erano ribellati ai “valori dei padri”.
Come scrive lo storico Paul Ginsborg nel manuale Storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, nel ‘68 per la prima volta fu messa in discussione la famiglia. I giovani rifiutavano i valori della loro casa, connotati da egoismo brutale verso l’esterno, a favore della collettività, vista invece come “tana e rifugio”.  Lo storico scrive infatti: “Non importava tanto imparare quanto agire; non le proprietà personali e la vita familiare, ma la messa in comune delle risorse e l’azione collettiva”.

Dopo esserci informati in prima persona riguardo a questo particolare periodo storico tramite le fonti scritte citate ed altri manuali, abbiamo anche voluto integrare la nostra ricerca con una testimonianza diretta. A tale scopo abbiamo intervistato il professore Cesare Quarenghi, ex-dirigente scolastico del Liceo Scientifico Filippo Lussana, che ha vissuto il periodo delle occupazioni nel nostro istituto e che quindi ha assistito alle ripercussioni del movimento sessantottino proprio nel nostro ambito scolastico.

Dal ’68 a oggi: il contrasto generazionale

Dall’epoca del “vietato vietare” sono passati “solo” cinquant’anni.  Lo slogan rivoluzionario dei sessantottini si è, però, trasformato oggi in un semplice e lontano ricordo per la nostra generazione, considerata quella delle “passioni tiepide”. Noi, discendenti di quei giovani che occupavano gli atenei e che protestavano nelle piazze, professando il desiderio di una svolta politico-sociale, mezzo secolo dopo non crediamo più nell’utopico cambiamento delle istituzioni né nella possibilità di concretizzare le nostre aspettative sul futuro.
Giunti dal boom economico, i “ragazzi del ‘68” cercavano una rottura definitiva con il mondo precedente, costruito sui valori “obsoleti” dei genitori, facendosi assorbire completamente dall’inseguimento dei propri sogni e dei propri ideali. Non c’era la paura della disoccupazione, anzi, era comune una forte fiducia nel futuro e nel progresso. Il vero problema da affrontare era il superamento dello stacco sociale tra borghesia e proletariato, espressione del quale era anche l’Università classista.
Oggi, al contrario, i giovani di ogni estrazione sociale e di ogni etnia hanno l’opportunità di studiare e raggiungere i più alti gradi dell’istruzione, ma ciò contro cui dovremmo lottare è l’impossibilità di trovare un qualsiasi impiego e la prospettiva di vivere una vita insoddisfacente. Il coraggio dei ragazzi del ventunesimo secolo non risiede tanto nello scendere in piazza a manifestare, quanto nella difficile scelta di lasciare l’Italia e i loro affetti per trovare un lavoro.
L’Italia stessa è cambiata incredibilmente, diventando da stato in crescita, con una politica attiva, forte e dai partiti ben distinti a nazione segnata dalla crisi economica, con una politica a volte confusa e debole. Ciò ha influenzato profondamente la mentalità: se i giovani del ’68 vivevano in un periodo in cui il cambiamento era possibile e l’impegno politico e sociale poteva fare la differenza, oggi noi non possediamo più, in gran parte, una concezione così forte. Bisogna, però, sottolineare che, grazie appunto alla favorevole condizione economica, i sessantottini non avessero molto da perdere manifestando, mentre oggi le ripercussioni che noi giovani potenzialmente potremmo subire sarebbero molto diverse.
Differente è, quindi, tra le due generazioni la visione del mondo e ciò non rende le nostre passioni meno forti, meno impetuose e meno irruente di quelle dei giovani di mezzo secolo fa, ma comporta che noi, ragazzi dei ventunesimo secolo, siamo persone semplicemente diverse, e chissà se in bene o in male.

La nostra generazione è, dunque, inevitabilmente diversa da quella degli studenti del ’68; non per questo però noi, giovani d’oggi, dobbiamo essere disinteressati. Al contrario, è necessario conoscere le lotte e gli ideali di chi ci ha preceduto. Ecco allora il lavoro che abbiamo svolto per cercare di avere una migliore visione del momento storico del ’68 e del suo significato.
In questo video è presente un’intervista all’ex sindacalista Giorgio Caprioli, che esprime il suo giudizio sull’esperienza vissuta nel ’68 come studente al Liceo Scientifico Filippo Lussana.

Ed ora, dopo aver letto ed ascoltato diversi punti di vista, cosa ne pensi tu? Saresti stato un rivoluzionario o un conservatore? Mettiti alla prova con il nostro quiz!

QUI IL QUIZ

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