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L'intervista

Peppino Impastato, 40 anni dalla morte: il ricordo dell’amico di una vita

Pino Manzella, compagno di avventure, viaggi ed esperienze, tra il partito e radio Aut, ci ha raccontato di quel ragazzo uguale a noi, ma con la forza di vivere per qualcosa, ucciso e poi accusato di terrorismo

“Il nome di suo padre nella notte non è servito, gli amici disperati non l’hanno più trovato”

Recita così la canzone dei Modena City Ramblers.

Un nome che non lo rappresentava, Impastato, datogli da un padre così diverso da lui, lontano per ideologie e forza di vivere.
Dei grandi si dovrebbe ricordare la data di nascita, non di morte, è da lì che parte tutto per loro. Ma Peppino non era un grande, dalle foto non sembra nemmeno tanto alto a dire il vero, forse è proprio questo che lo ha reso così speciale e per questo va ricordata la sua morte.
Non era un magistrato, nemmeno un politico o un militare, non ha sradicato i mali del mondo e non ha mai combattuto guerre armate come gli eroi dei film. Da quello che si può vedere era un ragazzo, abbastanza magro e con le spalle un po’ ricurve come le persone timide.

Peppino non era nessuno se non il figlio di un mafioso di Cinisi, un paesino che lui ai microfoni di radio aut definiva, con l’ironia pungente che lo ha definito fino all’ultimo giorno, “mafiopoli” un paesino nella provincia di Palermo: ma lui ha scelto chi essere, non si è fatto scegliere.
Lui con i suoi amici ha sfidato i boss, quelli che fanno paura, solo con parole ed ironia che se usate bene fanno più male di mille proiettili, andando contro il suo stesso sangue.

E proprio uno di loro, Pino Manzella, compagno di avventure, viaggi ed esperienze, tra il partito e radio Aut, ci ha raccontato di quel ragazzo uguale a noi, ma con la forza di vivere per qualcosa, ucciso e poi accusato di terrorismo.

Se oggi Peppino fosse qui, cosa direbbe ai giovani? Soprattutto in questo periodo di distaccamento politico?

Non so quello che direbbe, ma so quello che farebbe: si impegnerebbe per coinvolgerli, per spingerli a fare qualcosa per migliorare le loro vite e il loro ambiente.

Perché dopo 40 anni si deve continuare a parlare di Peppino?

Perché Peppino rappresenta un esempio: se vuoi migliorare il mondo o il paese in cui vivi o la tua vita devi lottare con tutte le tue forze anche se l’avversario sembra invincibile.

Com’era Peppino nell’ultimo periodo della sua vita? Sentiva che qualcosa di brutto si stava avvicinando o non si aspettava ciò che è successo?

C’erano state delle avvisaglie (prima lettere minatorie, poi, nell’ultimo periodo anche zucchero nella tubatura della benzina della sua macchina). Ma nessuno si aspettava quello che è successo.

Come avete provato quando avete saputo che il suo non fu un attentato terroristico ma un omicidio? 

Conoscevamo Peppino da tanti anni, sapevamo come la pensavamo sul terrorismo. Noi, i suoi colleghi, abbiamo trovato delle macchie di sangue dentro al casolare accanto alle ferrovie. Da quelle macchie è partita una contro-indagine alternativa a quella dei magistrati e dei carabinieri che ha dimostrato che Peppino era stato ucciso.

Cosa ricorda di quel 9 maggio ’78?

Quel 9 maggio segnò la fine della nostra giovinezza, quel giorno siamo diventati adulti. Di quel giorno ricordo i brandelli di Peppino persino sui fili, li accanto alla ferrovia, le macchie di sangue, gli interrogatori dei carabinieri. Ma sopratutto ricordo la sensazione che provai: da quel giorno in poi niente sarebbe stato più lo stesso.

Come è continuata la vostra attività a radio aut e nel partito dopo la sua morte? 

La radio ha continuato a trasmettere altri due anni poi facevamo un giornaletto ciclostilato che si chiamava “Nove Maggio”. Abbiamo continuato più o meno a fare quello che facevamo prima ma non era più la stessa cosa, non c’era più la gioia della lotta.

Come era la situazione a Cinisi dopo l’omicidio e come è invece ora?

Cinisi era un paese sottomesso alle mafie, al conformismo clerico-democratico. Ha continuato ad esserlo per tanti anni. Oggi finalmente è migliorato. Qualche seme che abbiamo seminato in tutti questi anni è germogliato.

Cosa ricorda dell’amicizia con lui?

Ricordo tante cose: le vignette che pensavamo insieme, le serate in pizzeria, le interminabili discussioni notturne, insomma, la vita quotidiana. E poi degli eventi particolari: il primo concerto di De Andrè in Sicilia, il viaggio a Roma in treno:insomma cose normali che facevano migliaia di altri ragazzi a quei tempi.

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